di Roberto Gnesotto* e Roberto De Vogli

Nel corso di discussioni riguardo la pandemia Covid-19, personalità famose che occupano posizioni elevate in ospedali rinomati, Università e anche nell’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno utilizzato espressioni insolenti nei confronti di colleghi che esprimevano posizioni diverse basate su argomentazioni scientifiche. Linguaggi quali “torna nella fogna”, “ne ho le palle piene”, “non parlo di sciacalli zanzarologi” costituiscono attacchi personali che nulla hanno a che vedere con la capacità di argomentare facendo ricorso ai metodi e alle conoscenze proprie della scienza.

Le controversie scientifiche costituiscono la premessa essenziale per avvicinarsi sempre più ad una comprensione approfondita dei fenomeni, incluse le epidemie. Uno scienziato dovrebbe possedere una forma mentis flessibile che gli permetta di dubitare di conoscenze ineluttabilmente confuse e incerte, sollecitando successive revisioni in un processo iterativo che conduce ad una maggiore certezza e un accumulo coerente di conoscenze. La discussione, pur vivace e appassionatamente dibattuta riguardo ai contenuti, dovrebbe in ogni caso rimanere all’interno dei confini della correttezza.

Diversamente si entra in un territorio rozzo e distruttivo, più consono a dispute da tifosi nei bar. Gli insulti non portano alcunché di positivo, non costituiscono un argomento logicamente correlato e pertinente, e tanto meno arricchiscono la discussione con nuove evidenze. Nel caso di chi insulta senza proporre contenuti o evidenza, lo stile è sostanza; inevitabilmente individui con una solida identità scientifica leggono gli oltraggi come chiari segnali che la persona che strepita non domina l’argomento e, annaspando, cerca di ovviare a limiti di conoscenze e carattere.

Ricorrere alla villania al fine di “imporsi” su di un collega con il quale ci si trova in disaccordo rivela eccessiva fiducia in se stessi, narcisismo e, in casi estremi, tracotanza. Hybris, concetto presente nella mitologia greca, identifica l’assenza di inibizione, un giudizio mediocre e comportamenti devianti in individui che detengono potere privo di autodisciplina e controllo. La tracotanza inibisce il pensiero lucido ed è agli antipodi di tratti che caratterizzano gli scienziati, cioè curiosità, desiderio di sapere, originalità, apertura mentale e profondo senso di soddisfazione riguardo il proprio ruolo sociale. Questi tratti peculiari degli scienziati si accompagnano frequentemente a umiltà, gratitudine e apprezzamento per i contributi prodotti da colleghi.

Offendere qualcuno in una disputa scientifica è indicazione che l’insolente non ha nulla di costruttivo da aggiungere ed è privo di principi e concetti che sono al centro di un’identità scientifica. Le offese riflettono non solo un carattere individuale insicuro ma anche l’appartenenza ad una cultura che privilegia l’aggressività e l’intimidazione per sottomettere un “avversario” invece di mantenere una mente aperta a evidenze e opinioni diverse. Le ingiurie rivelano alterigia, mancanza di rispetto per il collega al quale sono rivolti e, ancor più importante, cinismo nei confronti di grandi sventure.

Tristemente, seguendo il modello dominante della sfera politica, invece di condurre ad un opportuno oblio, l’insulto richiama attenzione dei mass media e del pubblico. Perciò le insolenze urlate o pubblicate nei social media hanno anche conseguenze sociali deleterie, in quanto l’opinione pubblica rimane confusa riguardo alle questioni sostanziali e sfiduciata nei confronti di chi dovrebbe diffondere sapere ed equilibrio.

I cittadini concludono che la zuffa, tipica dei talk show e delle discussioni tra politici, è la modalità relazionale ordinaria anche tra scienziati. I giovani che intendono perseguire una carriera nella ricerca osservano i modelli vincenti e imparano a praticarli oppure emigrano verso contesti più evoluti. Una delle poche nicchie della società che dovrebbero essere preservate dalla villania viene calpestata.

La cultura nazionale è l’humus sul quale si sviluppano le regole implicite ed esplicite riguardanti la comunicazione tra i cittadini e l’accettabilità sociale dell’insulto. Secondo una ricerca che ha analizzato 40 mila messaggi ricevuti da 360 figure politiche in Italia, Germania, Francia e Svizzera sui loro profili Facebook e Twitter dal 21 febbraio al 21 marzo, 2018, il nostro paese sembrerebbe avere la percentuale più alta di insulti o commenti “tossici”. Analisi condotte usando dati dell’Eurobarometro hanno mostrato che in Italia quasi la metà degli intervistati è stata esposta o ha assistito a abusi, minacce o messaggi d’odio sui social media. Inoltre, la stessa ricerca indica che più della metà degli italiani esita a partecipare in dibattiti online a causa degli insulti sui social.

Esprimere il proprio dissenso rispetto ad altri colleghi ricorrendo all’insulto è la massima espressione di fallimento comunicativo. Similmente alla pratica clinica, la sanità pubblica richiede di rimanere calmi e focalizzati sui contenuti particolarmente quando si affrontano situazioni critiche. L’esperto che affronta tematiche così importanti come informare la cittadinanza sul coronavirus dovrebbe fornire informazioni e indicazioni, ponendo al centro del comunicare le conoscenze emerse dalla più recente ricerca scientifica e allo stesso tempo accettare l’incertezza, mostrando non solo un pensiero lucido, ma anche una compostezza che rassicura e convince.

Chi occupa posizioni pubbliche o si attribuisce l’arduo compito di sintetizzare l’evidenza scientifica al fine di informare il dibattito pubblico e le scelte strategiche riguardo la pandemia dovrebbe avere maggiormente a cuore le conseguenze che la gravissima crisi determina sulla salute, l’economia e la società, piuttosto che cercare di nascondere dietro insolenze un fragile io facilmente trascinato da emozioni distruttive. Personalità che esprimono opinioni sul coronavirus nei mass media, invece di insultare i colleghi che la pensano diversamente, dovrebbero contribuire a creare una cultura nazionale dove le ingiurie diventino più umilianti per chi le proferisce rispetto a chi le riceve.

*Medico specializzato in medicina interna (Università di Padova), con Master in politiche sanitarie (Harvard University), Master in scienze della salute comunitaria (London School of Hygene and Tropical Medicine) e Master in sicurezza del paziente (University of Illinois). Il Dr. Gnesotto ha lavorato come direttore del Servizio Epidemiologico Regionale della Regione Veneto e come consulente per l’Organizzazione Mondiale della Salute, Harvard AIDS Institute e la John Hopkins School of Public Health.

Articolo Precedente

Il rientro a scuola non è facile: per affrontarlo ci vogliono condivisione e supporto

next
Articolo Successivo

Come vanno spesi i soldi del Recovery fund? Il vox di Italiani come noi: “Lavoro, scuola, sanità e infrastrutture”

next