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Salute e partecipazione della comunità.
Una questione politica
Angelo Stefanini, Chiara Bodini
Sistema Salute, 58, 3, 2014: pp. 308-315, luglio-settembre 2014
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Sistema Salute, 58, 3, 2014: pp. 308-315
Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 58, n. 3, luglio-settembre 2014
“Siamo partiti dal presupposto che scopo
della medicina è la difesa della salute, di
tutti e di ciascuno: perciò i soggetti del si-
stema non possono essere che i cittadini,
oggi troppo spesso considerati invece come
oggetto passivo della società consumistica
anche in questo settore vitale. […] Questa
responsabilizzazione dei cittadini nella ge-
stione dei servizi… è insomma l’essenza
stessa della democrazia…” (1).
Questo è quanto scriveva oltre quarant’an-
ni fa Alessandro Seppilli intravvedendo quel-
lo che avrebbe dovuto essere il funziona-
mento di un Servizio Sanitario Nazionale
(SSN) basato sui principi di “rispetto della
dignità e della libertà della persona uma-
na… eguaglianza dei cittadini nei confronti
del servizio… garantendo la partecipazione
dei cittadini” (2).
Con l’obiettivo di analizzare l’evoluzione del
concetto e delle pratiche di “partecipazione
dei cittadini” a livello nazionale e interna-
Salute e partecipazione della comunità.
Una questione politica
Health and community partecipation. A political issue
Angelo Stefanini, Chiara Bodini
Centro di salute internazionale, Università di Bologna
zionale, questo articolo ripercorre brevemen-
te la storia, il dibattito e le problematiche
emerse negli ultimi decenni intorno al tema
del coinvolgimento della popolazione nella
programmazione e gestione dei servizi pub-
blici, arrivando a contestualizzare la situa-
zione odierna e le sfide che essa pone alla
società tutta.
Partecipazione come processo poli-
tico
Un progressivo disincanto sul futuro del
SSN così come concepito dai suoi padri fon-
datori ha fatto seguito al disegno, attuato
con i DDLL 502/92 e 517/93, di fondare la
sanità sulle leggi del mercato e della con-
correnza. Appare sempre più evidente che
organi di potere non eletti come le aziende
sanitarie non godono della legittimazione
necessaria per prendere decisioni critiche che
riguardano la salute di tutti di fronte, per
esempio, alla scelta tra servizi ospedalieri e
Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 58, n. 3, luglio-settembre 2014
309Angelo Stefanini, Chiara Bodini
servizi territoriali o di come allocare risor-
se limitate. Le problematiche coinvolte in
tali decisioni sono di natura sostanzialmen-
te non tecnica ma politica e richiedono giu-
dizi non soltanto professionali ma anche e
soprattutto di valore.
Se il settore sanitario soffre di un vuoto de-
mocratico, il governo locale è però sovente
esso stesso colpevole di incapacità di legge-
re i bisogni della comunità e di tendenze
monopolistiche, autoritarie e burocratiche.
È necessario quindi che la legittimità poli-
tica che gli proviene dall’elettorato sia raf-
forzata da una varietà di altre misure volte
a renderlo più sensibile verso gli utenti del
servizio e i cittadini, anche attraverso un
loro maggiore coinvolgimento. D’altra parte
l’effettivo rapporto esistente tra il pubblico
e il processo decisionale in sanità (ma non
solo) è in pratica inesistente. Di là dal mo-
mento del voto alle elezioni politiche o
amministrative, sono in concreto assenti le
occasioni in cui i cittadini che non accetta-
no il supino ruolo di sudditi cui accenna
Seppilli possono far valere il potere della
loro voce, di protesta o di persuasione. A
livello locale insomma esiste il bisogno di
un processo decisionale informato e di un
maggiore protagonismo del pubblico nelle
decisioni che lo riguardano.
La partecipazione della popolazione nelle
scelte che concernono la sua salute è quindi
essenzialmente un concetto politico. Il
modo in cui una comunità “partecipa” di-
pende ovviamente dal contesto sociale, eco-
nomico e politico di cui essa fa parte e dai
valori culturali e sociali che esprime. Inol-
tre, parlare di partecipazione significa che è
la comunità, e non un governo, non un’isti-
tuzione formale né un gruppo professiona-
le, che ha il controllo sulle risorse e il pote-
re di decidere come usarle. Dovrebbe esse-
re chiara quindi la distinzione tra i concetti
espressi dai due verbi “partecipare” e “con-
tribuire”, dove il primo indica che il con-
trollo è in mano alla comunità mentre il
secondo significa che attori esterni, in ge-
nere il governo – comunale, regionale, na-
zionale – ma sempre più anche altri nuovi
protagonisti sovranazionali non governati-
vi e al di fuori del controllo democratico,
creano attività a cui forniscono risorse invi-
tando poi la popolazione a contribuire sen-
za tuttavia che essa ne abbia alcun control-
lo. La politica, una “buona” politica, costi-
tuisce un approccio irrinunciabile alla crea-
zione delle condizioni che possono favorire
la salute. Come dire che per migliorare la
salute della popolazione è necessario miglio-
rare la salute della politica (3).
Alma Ata e il ruolo della comunità
Parallelamente al percorso che in Italia por-
tava alla nascita del SSN, a livello interna-
zionale cresceva il dibattito ed emergevano
le esperienze che avrebbero condotto nel
settembre 1978 alla Conferenza di Alma Ata
e alla Dichiarazione sulla Primary Health
Care (PHC), praticamente contemporanea
della Legge 833. Entrambe, Dichiarazione
e L. 833, rappresentano indubbiamente, an-
che se a due livelli diversi, un momento
critico nella interpretazione dei valori, dei
principi e delle strategie che hanno caratte-
rizzato la storia della salute e dei sistemi
sanitari a livello internazionale. La progres-
siva rivalutazione anche in Europa e nel
Nord America della PHC come filosofia e
strategia per la promozione della salute, un
tempo ritenuta rilevante esclusivamente per
i Paesi più poveri, è dovuta non soltanto
alla presa di coscienza della inadeguatezza
dell’approccio ospedalo-centrico, ma anche
alla necessità di una solida strategia sociale
310
Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 58, n. 3, luglio-settembre 2014
Salute e partecipazione della comunità. Una questione politica
che porti a un cambiamento. È proprio al-
l’interno dell’organizzazione sociale, infat-
ti, che vanno ricercati i determinanti più
potenti della salute e dunque è agendo su di
essi che ci si possono attendere concreti van-
taggi di salute.
La Dichiarazione di Alma Ata era nata an-
che grazie alle esperienze innovative di come
le varie comunità in varie parti del mondo
affrontavano e gestivano con successo la loro
salute. Un elemento comune a tutte queste
buone pratiche, documentate in una storica
pubblicazione (4), era rappresentato da un
aspetto della salute fino ad allora negletto:
il potenziale e la necessità di avere comuni-
tà che definiscono esse stesse i propri biso-
gni di salute e su di essi agiscono. Il punto
centrale identificato dalle due agenzie delle
Nazioni Unite promotrici della Conferenza
di Alma Ata, Organizzazione Mondiale del-
la Sanità (OMS) e UNICEF, non fu tanto di
lamentare che le comunità nelle varie parti
del mondo non fossero mai state coinvolte
nella tutela della propria salute (cosa evi-
dentemente non vera), ma di articolare uf-
ficialmente la necessità di riconoscere e va-
lorizzare tale coinvolgimento. In realtà, il
principio della PHC contenuto nella dichia-
razione di Alma Ata sfidava molti dei con-
cetti fondamentali di salute e assistenza
medica che avevano dominato le politiche
sanitarie dei precedenti decenni. Tra i punti
qualificanti di questo principio era l’affer-
mazione che la responsabilità della salute
risiede nei singoli individui, nelle comunità
e nei governi.
Continuando con l’analogia tra il contesto
italiano e quello internazionale, se in Italia
trascorsero quasi quindici anni prima di una
risposta “neo-liberista” nei confronti dell’uto-
pia “socialisteggiante” di un SSN guidato
dalla politica, alla contro-offensiva globale
del potente “complesso medico-industria-
le” bastarono pochi mesi. Con la proposta
di una selective PHC, pubblicata da una tra
le più prestigiose riviste mediche (5), veni-
vano demoliti i principi di una comprehensive
PHC espressi dalla Dichiarazione e così rias-
sumibili:
1. La salute è essenzialmente una questio-
ne politica;
2. La medicina occidentale non è l’unica a
offrire cure efficaci;
3. I professionisti creati da tale sistema non
sono gli unici in grado di dare risposte
ai problemi di salute delle comunità;
4. La salute non può essere isolata dalle al-
tre politiche per lo sviluppo di una co-
munità;
5. Le tecnologie più sofisticate non forni-
scono necessariamente le cure migliori;
6. La decentralizzazione e la regionalizza-
zione della programmazione e delle isti-
tuzioni sanitarie sono maggiormente in
grado di rispondere ai problemi locali di
salute.
Insomma, il messaggio contenuto nella com-
prehensive PHC è che la salute è una condi-
zione umana che non può essere migliorata
soltanto dall’offerta di servizi. Il suo mi-
glioramento è anche e soprattutto respon-
sabilità degli individui, delle comunità e dei
governi.
Dalla retorica alla realtà
Nell’accettare la PHC come politica di go-
verno, tutti gli Stati membri dell’OMS ave-
vano riconosciuto l’importanza di coinvol-
gere i beneficiari dei servizi e dei program-
mi, ossia la popolazione, nella loro proget-
tazione e realizzazione. Le ragioni di questa
accettazione riguardavano in primo luogo
l’efficacia dei servizi sanitari: i servizi for-
niti sono sotto utilizzati e male utilizzati,
Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 58, n. 3, luglio-settembre 2014
311Angelo Stefanini, Chiara Bodini
perché le persone per le quali sono stati pro-
gettati non sono coinvolte nella loro pro-
grammazione e gestione. Una seconda ra-
gione era di carattere economico. Esistono,
infatti, in tutte le comunità risorse finan-
ziarie, materiali e umane che potrebbero e
dovrebbero essere mobilitate per migliora-
re le condizioni ambientali e sanitarie loca-
li. Un ulteriore argomento per abbracciare
la causa della PHC era ancor più sostanzia-
le: la salute delle persone è soprattutto il
risultato di come esse organizzano il pro-
prio contesto sociale e gestiscono la propria
vita. Non è soltanto il risultato di inter-
venti medici. Gli Stati infine si trovano ad
affrontare una questione centrale per la pro-
pria sopravvivenza e benessere: la sfida del-
la democrazia e della giustizia sociale. Tut-
te le persone, infatti, specialmente i poveri
e gli svantaggiati, hanno il diritto e il dove-
re di essere coinvolti nelle decisioni che ri-
guardano la loro vita quotidiana.
Tuttavia, l’adesione formale a questa stra-
tegia ha raramente soddisfatto le aspettati-
ve in termini di impatto sulla salute. Susan
Rifkin sostiene che la ragione di questo fal-
limento è stata l’adozione entusiastica di un
paradigma che vede la partecipazione della
comunità come una bacchetta magica per
risolvere sia i problemi di salute sia quelli
di potere politico (6). Per questo motivo è
necessario utilizzare una diversa prospetti-
va che interpreti la partecipazione come un
“processo di apprendimento iterativo che
consente l’adozione di un approccio più
eclettico” (7) e, di conseguenza, di aspetta-
tive più realistiche.
Sotteso al cosiddetto ‘approccio partecipa-
tivo’ – ovvero all’utilizzo della partecipa-
zione come strumento di programmazione
e attuazione di politiche, servizi, interven-
ti, azioni – vi è infatti non tanto un metodo
quanto un preciso statuto ontologico ed
epistemologico. Dall’etimo latino (pars,
parte, e capere, prendere), partecipare signi-
fica prendere parte a, o di, qualcosa. Rispon-
dere alla domanda del ‘che cosa’ implica ri-
flettere su chi è il soggetto che fa partecipa-
re/che partecipa, che cosa è conoscenza (ciò
che chiamiamo ‘realtà’) e come si arriva ad
essa. Dal punto di vista ontologico, l’im-
plicazione riguarda lo statuto dell’Altro,
visto e rispettato nella sua alterità e non
come un complemento dell’io (per identità
o opposizione), come avviene nell’approc-
cio dialettico. Accettare realmente l’alteri-
tà, svincolandola da una definizione stabili-
ta unilateralmente a priori (o rispetto a un
‘a priori’ che è il soggetto che definisce), è
presupposto fondante per una reale possibi-
lità di dialogo e di relazioni mutualmente
significative (8). Dal punto di vista episte-
mologico, la partecipazione poggia sull’idea
che la conoscenza non è costruita da indivi-
dui isolati nella loro propria soggettività,
ma nelle relazioni che le persone intessono,
e di/da cui sono intessute. La complessità
della relazione intersoggettiva è il terreno
in cui avviene la co-costruzione del signifi-
cato e della conoscenza. Solo ponendo la
relazione come fondamento e fonte di co-
noscenza è possibile costruire un contesto
realmente partecipativo (9).
Oltre dieci anni dopo le osservazioni sopra
riportate, sempre Susan Rifkin (10) offre tre
ragioni della grande difficoltà costantemente
descritta in letteratura di integrare la par-
tecipazione della comunità nei programmi
di salute. La prima riguarda il predominio
del paradigma bio-medico che continua a
costituire nella maggioranza dei casi lo stru-
mento principale di programmazione, con
conseguente concezione della partecipazio-
ne della comunità come semplice interven-
312
Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 58, n. 3, luglio-settembre 2014
Salute e partecipazione della comunità. Una questione politica
to tecnico. La seconda ragione concerne la
mancanza di un’analisi approfondita della
percezione e del punto di vista dei membri
della comunità e, laddove esistono, degli
agenti/operatori sanitari di comunità. Infi-
ne, un altro motivo di difficoltà è la pro-
pensione a utilizzare un quadro concettuale
che limita l’indagine a ciò che funziona, al
perché e al come funziona, e non prende in
considerazione gli insuccessi. Alla base di
queste difficoltà si affacciano però più pro-
fonde dinamiche di potere che devono esse-
re chiamate in causa e analizzate.
Empowerment e diritti
Le diverse interpretazioni del significato
della partecipazione della comunità solle-
vano la domanda se essa sia un mezzo op-
pure un fine in se stessa, e ne interrogano
quindi il ruolo e la collocazione nel proces-
so politico di programmazione e sviluppo
della salute e della vita della comunità. Da
qui nasce anche la necessità di definire chia-
ramente che cosa si intenda per “partecipa-
zione” e per “comunità”. Su questi due si-
gnificati si è svolto negli ultimi decenni un
vasto dibattito.
De Vos et al. (12) hanno esteso l’analisi sto-
rica del dibattito accademico sulla parteci-
pazione anche al concetto di empowerment e
alle implicazioni derivanti da un approccio
alla salute basato sui diritti umani. Parten-
do ancora una volta dalla constatazione che:
“Trentuno anni dopo Alma Ata, una rivisi-
tazione delle politiche globali ha evidenzia-
to che, di tutti i principi fondamentali della
Dichiarazione, il principio che ha in parti-
colare mancato di prendere radice è quello
della partecipazione comunitaria”, gli au-
tori argomentano come le diverse fasi nel-
l’evoluzione dei concetti di partecipazione,
empowerment e diritto alla salute hanno ag-
giunto importanti novità alla discussione.
Tre sono gli aspetti cruciali che emergono
dalla loro analisi: (a) l’importanza che vie-
ne ad assumere la classe sociale quando si
analizzano gli elementi essenziali della par-
tecipazione comunitaria; (b) il ruolo centrale
(e ovvio, si potrebbe dire) del “potere” evi-
denziato nel dibattito sull’empowerment, e (3)
il ruolo dello Stato legato ai concetti di cit-
tadino come “titolare dei diritti” e di Stato
come “portatore dei doveri” in un approc-
cio basato sul diritto alla salute. Il concetto
di salute come “prodotto dell’empowerment
delle persone” viene proposto per descrive-
re il significato fondamentale della parteci-
pazione e della responsabilizzazione da un
punto di vista dei diritti umani e, in questo
modo, elaborare strategie comuni. Se i grup-
pi e le classi emarginate si organizzano,
possono influenzare i rapporti di potere e
fare pressione sullo Stato affinché agisca.
Questa pressione dal basso attraverso l’or-
ganizzazione popolare può svolgere un ruo-
lo essenziale nel garantire politiche gover-
native adeguate per affrontare le disugua-
glianze e affermare il diritto alla salute.
Una tale prospettiva richiama il panorama
italiano degli anni ’70 e in particolare, as-
sieme ad altri pionieri come Alessandro
Seppilli e Giovanni Berlinguer, la figura e
l’opera di Giulio A. Maccacaro, allora di-
rettore dell’Istituto di Biometria e Statisti-
ca Medica dell’Università statale di Mila-
no. Denunciando la “medicalizzazione del-
la politica”, ossia una “medicina [che è] sem-
pre meno un sistema assistenziale e sempre
più un sistema gestionale”, Maccacaro rile-
vava come “tutto si risolve in ultima anali-
si in un aumento di capacità del capitale a
gestire medicalmente la società, magari fin-
gendo di gestire socialmente la medicina”
(13). La “politicizzazione della medicina”,
Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 58, n. 3, luglio-settembre 2014
313Angelo Stefanini, Chiara Bodini
al contrario, significa che la tutela della sa-
lute e la lotta alla malattia non possono non
avvenire che “attraverso l’attrito delle for-
ze sociali che si confrontano” e a opera dei
loro soggetti storici. È in tale contesto di
continua lotta per la salute che Maccacaro
vedeva il ruolo della partecipazione denun-
ciando come, nonostante la Costituzione
italiana (art. 3, secondo comma) ponga “l’ef-
fettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e so-
ciale del Paese” tra i compiti fondamentali
delle Repubblica, “né la teoria né la prassi
di tale partecipazione si sono alzate dal pia-
no dell’attività, nemmeno in quella ipotesi
di sanità riformata che declama la parteci-
pazione come carattere essenziale delle sue
unità di base” (14). Riconoscendo “l’intrin-
seca solidarietà tra il problema della ‘salu-
te’ e quello della ‘partecipazione’” (15),
Maccacaro contrapponeva la nozione di
“malattia come perdita di partecipazione”
del sociologo Talcott Parsons (16) al suo
modello concettuale di “perdita di parteci-
pazione come sostanza di malattia”. In par-
ticolare, identificava come nemici della par-
tecipazione l’autorità, l’efficienza e la prov-
videnzialità. L’autorità che rifiuta Macca-
caro è quella che “indossati i panni della
competenza, separatasi nella tecnica, costi-
tuitasi come corporazione, legittimatasi
come ordine - si pone di fatto quale esecu-
trice dei comandi di un potere che la sovra-
sta e che, pagatala con ruoli e privilegi, ne
fa lo strumento più insidioso ed efficace del
controllo sociale nelle forme della medica-
lizzazione”. L’efficienza è nemica della par-
tecipazione quando diventa “domanda del
potere costituito” (17), avvalendosi della
voluta e perpetrata confusione con l’effica-
cia e tra la funzione dell’istituzione sanita-
ria, ossia la tutela della salute, e il suo fun-
zionamento, ridotto a ottimizzazione di se
stessa anziché all’adempimento di tale fun-
zione. Per “provvidenzialità”, infine, Mac-
cacaro intende il “paternalismo”, ossia “quel
modo di mettersi in rapporto con la realtà
che prescinde dal suo ascolto; quell’attitu-
dine a disporre risposte preformate che pre-
scindono dalla formazione delle domande;
quell’interpretazione del mandato ammini-
strativo che infine determina una richiesta
cui si consente soltanto di conformarsi al-
l’offerta” (18).
Partecipazione e salute globale
Un altro importante spartiacque nella sto-
ria moderna del concetto e della pratica della
partecipazione popolare per la salute è stata
la Dichiarazione del Millennio delle Nazio-
ni Unite, firmata nel settembre del 2000.
Nonostante il percorso modestamente par-
tecipato che ha portato alla loro identifica-
zione, i Millennium Development Goals (19)
hanno segnato un cambiamento paradigma-
tico nel modo in cui i policy-maker affronta-
no i miglioramenti di salute. Tale cambia-
mento si è incentrato sul riconoscimento
che la salute migliora grazie a fattori socia-
li e ambientali, e non solo attraverso inter-
venti tecnici bio-medici e modelli econo-
mici. Mentre il predominio degli operatori
sanitari qualificati nelle scienze mediche è
rimasto intatto, è cresciuta la domanda di
attenzione nei confronti dei determinanti
sociali della salute e dei bisogni ed esigenze
dei beneficiari dell’assistenza sanitaria. Due
documenti pubblicati nel 2008 dall’OMS
sono indicativi di questo cambiamento. Il
primo è il World Health Report dal titolo
“Primary Health Care: ora più che mai” (20)
che, se pur timidamente, promuove il ri-
torno ai valori e alla visione della Dichiara-
zione di Alma Ata. Il secondo è il rapporto
314
Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 58, n. 3, luglio-settembre 2014
Salute e partecipazione della comunità. Una questione politica
della Commissione OMS sui determinanti
sociali della salute (21), istituita nel 2005 e
composta da una vasta gamma di esperti
provenienti da una varietà di discipline e
Paesi. Il rapporto documenta con forza la
stretta relazione tra stato di salute e deter-
minanti sociali quali il reddito, l’istruzio-
ne, il tipo di lavoro, l’accesso alla assistenza
sanitaria, la capacità dei popoli di compiere
scelte e il buon governo.
Non sarebbe corretto sostenere che questi
documenti hanno prodotto un consenso ge-
nerale su come migliora la salute. Quello
che hanno fatto, però, è stimolare un’arena
per un ulteriore dibattito su questi temi. A
titolo di esempio, il terzo simposio globale
sulla ricerca nei sistemi sanitari, svoltosi
recentemente a Cape Town, ha avuto come
tema portante gli approcci ‘centrati sulla
persona’. In tale contesto, l’egemonia del-
l’ideologia di mercato è stata presentata
come fondamentale ostacolo per qualunque
tentativo di riportare realmente le persone,
e dunque i bisogni (o determinanti) sociali,
al centro dei sistemi di salute. La logica
conseguenza è la necessità di agire su leve
di potere per controvertire l’attuale
(dis)equilibrio, che non consente l’emerge-
re di alternative soprattutto a livello istitu-
zionale. A questo proposito, è stato chia-
mato in causa in maniera esplicita il ruolo
dei movimenti sociali, e l’importanza di
contemplarne le potenzialità e i meccani-
smi d’azione a livello di ricerca, di analisi
politica e di pianificazione delle politiche.
Solo la mobilitazione sociale può infatti rap-
presentare la forza necessaria a orientare
realmente le politiche di salute verso le per-
sone. Si torna così alla necessità primaria di
costruire potere politico, ed è chiaro che ciò
non può avvenire in un convegno di esperti
né a livello dei ‘piani alti’ della governance
globale, bensì là dove le tanto citate ‘perso-
ne’ sono naturalmente al centro, ovvero nei
loro contesti di vita e di lavoro.
Il contesto italiano
Secondo Luca Negrogno e Riccardo Ierna,
autori di un contributo sul blog
lavoroculturale.org, la questione della par-
tecipazione nello scenario italiano “va col-
locata in un problema molto più generale,
che investe oggi tutti i servizi sociali e sa-
nitari. Si tratta della crisi dello stato socia-
le tradizionale, una crisi che oggi prende la
forma di due imperativi: controllare la spe-
sa e rendere più efficaci gli interventi” (22).
Coinvolgere la comunità diviene dunque
anche una necessità di fronte alla crescente
carenza di risorse e all’inadeguatezza del-
l’offerta rispetto a bisogni sempre più com-
plessi (si pensi all’incremento delle patolo-
gie croniche e alla necessità di muovere ra-
pidamente verso una territorializzazione dei
servizi in un sistema ancora largamente
ospedalo-centrico, nella struttura come nella
cultura organizzativa). Prendendo come caso
di studio il coinvolgimento di utenti e fa-
miliari esperti nei servizi di salute mentale,
Negrogno e Ierna evidenziano il rischio che
le pratiche di partecipazione messe in atto
costruiscano forme di “cittadinanza dimi-
nuita”, in cui il cittadino è partecipe solo in
quanto utente o familiare e in cambio di un
adeguamento alla cultura e all’organizzazio-
ne del servizio: “per essere “utenti esperti”
l’identità di utente deve essere accettata,
anzi, deve diventare un’identità totalizzan-
te: solo attraverso di essa si può accedere ad
una forma positiva di cittadinanza, ad un
posto dignitoso nel mondo. La responsabi-
lità di cambiare è dei singoli, le persone
possono migliorare il servizio “lavorandoci
dentro”, e soccorrendo alla carenza di risor-
Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 58, n. 3, luglio-settembre 2014
315Angelo Stefanini, Chiara Bodini
se pubbliche” (23). Nella situazione descrit-
ta, ciò che viene chiamato “partecipazione”
è di fatto un processo gestito attraverso il
filtro delle etichette e in un rapporto indi-
vidualizzato con l’utenza, il cui oggetto è
definito dalla diagnosi e dall’intervento tec-
nico al netto di possibili conflitti.
I concetti di partecipazione ed empowerment
rimandano però a ben altre relazioni, in cui
i cittadini hanno la facoltà di intervenire nei
livelli tanto programmatori quanto gestio-
nali dei servizi, in un’accezione non setto-
rializzata e predefinita ma di negoziazione
ampia sulle priorità di allocazione delle ri-
sorse e di intervento. Riprendendo l’analisi
fatta a livello internazionale, è verosimile
che tale cambiamento di prospettiva e pra-
tiche non possa provenire “dall’alto”, ad
opera di decisori o programmatori per quan-
to “illuminati”. Per immaginare nuove e
reali forme di partecipazione è dunque ne-
cessario pensare a una crescita del potere
contrattuale collettivo dei cittadini, all’in-
terno di una riconfigurazione dello spazio
pubblico in spazio nuovamente, e profon-
damente, politico.
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Geneva:WHO; 2008.
20.Commission on Social Determinants of Health.
Closing the gap in a generation: health equity
through action on the social determinants of health:
final report of the commission on social determinants
of health; 2008.
21.Negrogno L, Ierna R. (2014). L’inclusione è
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22. Ibid.

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Salute e partecipazione della comunità. Una questione politica - di Angelo Stefanini e Chiara Bodini

  • 1. Salute e partecipazione della comunità. Una questione politica Angelo Stefanini, Chiara Bodini Sistema Salute, 58, 3, 2014: pp. 308-315, luglio-settembre 2014 Another tweet in the wall & Pink Floyd modified
  • 2. Sistema Salute, 58, 3, 2014: pp. 308-315 Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 58, n. 3, luglio-settembre 2014 “Siamo partiti dal presupposto che scopo della medicina è la difesa della salute, di tutti e di ciascuno: perciò i soggetti del si- stema non possono essere che i cittadini, oggi troppo spesso considerati invece come oggetto passivo della società consumistica anche in questo settore vitale. […] Questa responsabilizzazione dei cittadini nella ge- stione dei servizi… è insomma l’essenza stessa della democrazia…” (1). Questo è quanto scriveva oltre quarant’an- ni fa Alessandro Seppilli intravvedendo quel- lo che avrebbe dovuto essere il funziona- mento di un Servizio Sanitario Nazionale (SSN) basato sui principi di “rispetto della dignità e della libertà della persona uma- na… eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio… garantendo la partecipazione dei cittadini” (2). Con l’obiettivo di analizzare l’evoluzione del concetto e delle pratiche di “partecipazione dei cittadini” a livello nazionale e interna- Salute e partecipazione della comunità. Una questione politica Health and community partecipation. A political issue Angelo Stefanini, Chiara Bodini Centro di salute internazionale, Università di Bologna zionale, questo articolo ripercorre brevemen- te la storia, il dibattito e le problematiche emerse negli ultimi decenni intorno al tema del coinvolgimento della popolazione nella programmazione e gestione dei servizi pub- blici, arrivando a contestualizzare la situa- zione odierna e le sfide che essa pone alla società tutta. Partecipazione come processo poli- tico Un progressivo disincanto sul futuro del SSN così come concepito dai suoi padri fon- datori ha fatto seguito al disegno, attuato con i DDLL 502/92 e 517/93, di fondare la sanità sulle leggi del mercato e della con- correnza. Appare sempre più evidente che organi di potere non eletti come le aziende sanitarie non godono della legittimazione necessaria per prendere decisioni critiche che riguardano la salute di tutti di fronte, per esempio, alla scelta tra servizi ospedalieri e
  • 3. Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 58, n. 3, luglio-settembre 2014 309Angelo Stefanini, Chiara Bodini servizi territoriali o di come allocare risor- se limitate. Le problematiche coinvolte in tali decisioni sono di natura sostanzialmen- te non tecnica ma politica e richiedono giu- dizi non soltanto professionali ma anche e soprattutto di valore. Se il settore sanitario soffre di un vuoto de- mocratico, il governo locale è però sovente esso stesso colpevole di incapacità di legge- re i bisogni della comunità e di tendenze monopolistiche, autoritarie e burocratiche. È necessario quindi che la legittimità poli- tica che gli proviene dall’elettorato sia raf- forzata da una varietà di altre misure volte a renderlo più sensibile verso gli utenti del servizio e i cittadini, anche attraverso un loro maggiore coinvolgimento. D’altra parte l’effettivo rapporto esistente tra il pubblico e il processo decisionale in sanità (ma non solo) è in pratica inesistente. Di là dal mo- mento del voto alle elezioni politiche o amministrative, sono in concreto assenti le occasioni in cui i cittadini che non accetta- no il supino ruolo di sudditi cui accenna Seppilli possono far valere il potere della loro voce, di protesta o di persuasione. A livello locale insomma esiste il bisogno di un processo decisionale informato e di un maggiore protagonismo del pubblico nelle decisioni che lo riguardano. La partecipazione della popolazione nelle scelte che concernono la sua salute è quindi essenzialmente un concetto politico. Il modo in cui una comunità “partecipa” di- pende ovviamente dal contesto sociale, eco- nomico e politico di cui essa fa parte e dai valori culturali e sociali che esprime. Inol- tre, parlare di partecipazione significa che è la comunità, e non un governo, non un’isti- tuzione formale né un gruppo professiona- le, che ha il controllo sulle risorse e il pote- re di decidere come usarle. Dovrebbe esse- re chiara quindi la distinzione tra i concetti espressi dai due verbi “partecipare” e “con- tribuire”, dove il primo indica che il con- trollo è in mano alla comunità mentre il secondo significa che attori esterni, in ge- nere il governo – comunale, regionale, na- zionale – ma sempre più anche altri nuovi protagonisti sovranazionali non governati- vi e al di fuori del controllo democratico, creano attività a cui forniscono risorse invi- tando poi la popolazione a contribuire sen- za tuttavia che essa ne abbia alcun control- lo. La politica, una “buona” politica, costi- tuisce un approccio irrinunciabile alla crea- zione delle condizioni che possono favorire la salute. Come dire che per migliorare la salute della popolazione è necessario miglio- rare la salute della politica (3). Alma Ata e il ruolo della comunità Parallelamente al percorso che in Italia por- tava alla nascita del SSN, a livello interna- zionale cresceva il dibattito ed emergevano le esperienze che avrebbero condotto nel settembre 1978 alla Conferenza di Alma Ata e alla Dichiarazione sulla Primary Health Care (PHC), praticamente contemporanea della Legge 833. Entrambe, Dichiarazione e L. 833, rappresentano indubbiamente, an- che se a due livelli diversi, un momento critico nella interpretazione dei valori, dei principi e delle strategie che hanno caratte- rizzato la storia della salute e dei sistemi sanitari a livello internazionale. La progres- siva rivalutazione anche in Europa e nel Nord America della PHC come filosofia e strategia per la promozione della salute, un tempo ritenuta rilevante esclusivamente per i Paesi più poveri, è dovuta non soltanto alla presa di coscienza della inadeguatezza dell’approccio ospedalo-centrico, ma anche alla necessità di una solida strategia sociale
  • 4. 310 Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 58, n. 3, luglio-settembre 2014 Salute e partecipazione della comunità. Una questione politica che porti a un cambiamento. È proprio al- l’interno dell’organizzazione sociale, infat- ti, che vanno ricercati i determinanti più potenti della salute e dunque è agendo su di essi che ci si possono attendere concreti van- taggi di salute. La Dichiarazione di Alma Ata era nata an- che grazie alle esperienze innovative di come le varie comunità in varie parti del mondo affrontavano e gestivano con successo la loro salute. Un elemento comune a tutte queste buone pratiche, documentate in una storica pubblicazione (4), era rappresentato da un aspetto della salute fino ad allora negletto: il potenziale e la necessità di avere comuni- tà che definiscono esse stesse i propri biso- gni di salute e su di essi agiscono. Il punto centrale identificato dalle due agenzie delle Nazioni Unite promotrici della Conferenza di Alma Ata, Organizzazione Mondiale del- la Sanità (OMS) e UNICEF, non fu tanto di lamentare che le comunità nelle varie parti del mondo non fossero mai state coinvolte nella tutela della propria salute (cosa evi- dentemente non vera), ma di articolare uf- ficialmente la necessità di riconoscere e va- lorizzare tale coinvolgimento. In realtà, il principio della PHC contenuto nella dichia- razione di Alma Ata sfidava molti dei con- cetti fondamentali di salute e assistenza medica che avevano dominato le politiche sanitarie dei precedenti decenni. Tra i punti qualificanti di questo principio era l’affer- mazione che la responsabilità della salute risiede nei singoli individui, nelle comunità e nei governi. Continuando con l’analogia tra il contesto italiano e quello internazionale, se in Italia trascorsero quasi quindici anni prima di una risposta “neo-liberista” nei confronti dell’uto- pia “socialisteggiante” di un SSN guidato dalla politica, alla contro-offensiva globale del potente “complesso medico-industria- le” bastarono pochi mesi. Con la proposta di una selective PHC, pubblicata da una tra le più prestigiose riviste mediche (5), veni- vano demoliti i principi di una comprehensive PHC espressi dalla Dichiarazione e così rias- sumibili: 1. La salute è essenzialmente una questio- ne politica; 2. La medicina occidentale non è l’unica a offrire cure efficaci; 3. I professionisti creati da tale sistema non sono gli unici in grado di dare risposte ai problemi di salute delle comunità; 4. La salute non può essere isolata dalle al- tre politiche per lo sviluppo di una co- munità; 5. Le tecnologie più sofisticate non forni- scono necessariamente le cure migliori; 6. La decentralizzazione e la regionalizza- zione della programmazione e delle isti- tuzioni sanitarie sono maggiormente in grado di rispondere ai problemi locali di salute. Insomma, il messaggio contenuto nella com- prehensive PHC è che la salute è una condi- zione umana che non può essere migliorata soltanto dall’offerta di servizi. Il suo mi- glioramento è anche e soprattutto respon- sabilità degli individui, delle comunità e dei governi. Dalla retorica alla realtà Nell’accettare la PHC come politica di go- verno, tutti gli Stati membri dell’OMS ave- vano riconosciuto l’importanza di coinvol- gere i beneficiari dei servizi e dei program- mi, ossia la popolazione, nella loro proget- tazione e realizzazione. Le ragioni di questa accettazione riguardavano in primo luogo l’efficacia dei servizi sanitari: i servizi for- niti sono sotto utilizzati e male utilizzati,
  • 5. Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 58, n. 3, luglio-settembre 2014 311Angelo Stefanini, Chiara Bodini perché le persone per le quali sono stati pro- gettati non sono coinvolte nella loro pro- grammazione e gestione. Una seconda ra- gione era di carattere economico. Esistono, infatti, in tutte le comunità risorse finan- ziarie, materiali e umane che potrebbero e dovrebbero essere mobilitate per migliora- re le condizioni ambientali e sanitarie loca- li. Un ulteriore argomento per abbracciare la causa della PHC era ancor più sostanzia- le: la salute delle persone è soprattutto il risultato di come esse organizzano il pro- prio contesto sociale e gestiscono la propria vita. Non è soltanto il risultato di inter- venti medici. Gli Stati infine si trovano ad affrontare una questione centrale per la pro- pria sopravvivenza e benessere: la sfida del- la democrazia e della giustizia sociale. Tut- te le persone, infatti, specialmente i poveri e gli svantaggiati, hanno il diritto e il dove- re di essere coinvolti nelle decisioni che ri- guardano la loro vita quotidiana. Tuttavia, l’adesione formale a questa stra- tegia ha raramente soddisfatto le aspettati- ve in termini di impatto sulla salute. Susan Rifkin sostiene che la ragione di questo fal- limento è stata l’adozione entusiastica di un paradigma che vede la partecipazione della comunità come una bacchetta magica per risolvere sia i problemi di salute sia quelli di potere politico (6). Per questo motivo è necessario utilizzare una diversa prospetti- va che interpreti la partecipazione come un “processo di apprendimento iterativo che consente l’adozione di un approccio più eclettico” (7) e, di conseguenza, di aspetta- tive più realistiche. Sotteso al cosiddetto ‘approccio partecipa- tivo’ – ovvero all’utilizzo della partecipa- zione come strumento di programmazione e attuazione di politiche, servizi, interven- ti, azioni – vi è infatti non tanto un metodo quanto un preciso statuto ontologico ed epistemologico. Dall’etimo latino (pars, parte, e capere, prendere), partecipare signi- fica prendere parte a, o di, qualcosa. Rispon- dere alla domanda del ‘che cosa’ implica ri- flettere su chi è il soggetto che fa partecipa- re/che partecipa, che cosa è conoscenza (ciò che chiamiamo ‘realtà’) e come si arriva ad essa. Dal punto di vista ontologico, l’im- plicazione riguarda lo statuto dell’Altro, visto e rispettato nella sua alterità e non come un complemento dell’io (per identità o opposizione), come avviene nell’approc- cio dialettico. Accettare realmente l’alteri- tà, svincolandola da una definizione stabili- ta unilateralmente a priori (o rispetto a un ‘a priori’ che è il soggetto che definisce), è presupposto fondante per una reale possibi- lità di dialogo e di relazioni mutualmente significative (8). Dal punto di vista episte- mologico, la partecipazione poggia sull’idea che la conoscenza non è costruita da indivi- dui isolati nella loro propria soggettività, ma nelle relazioni che le persone intessono, e di/da cui sono intessute. La complessità della relazione intersoggettiva è il terreno in cui avviene la co-costruzione del signifi- cato e della conoscenza. Solo ponendo la relazione come fondamento e fonte di co- noscenza è possibile costruire un contesto realmente partecipativo (9). Oltre dieci anni dopo le osservazioni sopra riportate, sempre Susan Rifkin (10) offre tre ragioni della grande difficoltà costantemente descritta in letteratura di integrare la par- tecipazione della comunità nei programmi di salute. La prima riguarda il predominio del paradigma bio-medico che continua a costituire nella maggioranza dei casi lo stru- mento principale di programmazione, con conseguente concezione della partecipazio- ne della comunità come semplice interven-
  • 6. 312 Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 58, n. 3, luglio-settembre 2014 Salute e partecipazione della comunità. Una questione politica to tecnico. La seconda ragione concerne la mancanza di un’analisi approfondita della percezione e del punto di vista dei membri della comunità e, laddove esistono, degli agenti/operatori sanitari di comunità. Infi- ne, un altro motivo di difficoltà è la pro- pensione a utilizzare un quadro concettuale che limita l’indagine a ciò che funziona, al perché e al come funziona, e non prende in considerazione gli insuccessi. Alla base di queste difficoltà si affacciano però più pro- fonde dinamiche di potere che devono esse- re chiamate in causa e analizzate. Empowerment e diritti Le diverse interpretazioni del significato della partecipazione della comunità solle- vano la domanda se essa sia un mezzo op- pure un fine in se stessa, e ne interrogano quindi il ruolo e la collocazione nel proces- so politico di programmazione e sviluppo della salute e della vita della comunità. Da qui nasce anche la necessità di definire chia- ramente che cosa si intenda per “partecipa- zione” e per “comunità”. Su questi due si- gnificati si è svolto negli ultimi decenni un vasto dibattito. De Vos et al. (12) hanno esteso l’analisi sto- rica del dibattito accademico sulla parteci- pazione anche al concetto di empowerment e alle implicazioni derivanti da un approccio alla salute basato sui diritti umani. Parten- do ancora una volta dalla constatazione che: “Trentuno anni dopo Alma Ata, una rivisi- tazione delle politiche globali ha evidenzia- to che, di tutti i principi fondamentali della Dichiarazione, il principio che ha in parti- colare mancato di prendere radice è quello della partecipazione comunitaria”, gli au- tori argomentano come le diverse fasi nel- l’evoluzione dei concetti di partecipazione, empowerment e diritto alla salute hanno ag- giunto importanti novità alla discussione. Tre sono gli aspetti cruciali che emergono dalla loro analisi: (a) l’importanza che vie- ne ad assumere la classe sociale quando si analizzano gli elementi essenziali della par- tecipazione comunitaria; (b) il ruolo centrale (e ovvio, si potrebbe dire) del “potere” evi- denziato nel dibattito sull’empowerment, e (3) il ruolo dello Stato legato ai concetti di cit- tadino come “titolare dei diritti” e di Stato come “portatore dei doveri” in un approc- cio basato sul diritto alla salute. Il concetto di salute come “prodotto dell’empowerment delle persone” viene proposto per descrive- re il significato fondamentale della parteci- pazione e della responsabilizzazione da un punto di vista dei diritti umani e, in questo modo, elaborare strategie comuni. Se i grup- pi e le classi emarginate si organizzano, possono influenzare i rapporti di potere e fare pressione sullo Stato affinché agisca. Questa pressione dal basso attraverso l’or- ganizzazione popolare può svolgere un ruo- lo essenziale nel garantire politiche gover- native adeguate per affrontare le disugua- glianze e affermare il diritto alla salute. Una tale prospettiva richiama il panorama italiano degli anni ’70 e in particolare, as- sieme ad altri pionieri come Alessandro Seppilli e Giovanni Berlinguer, la figura e l’opera di Giulio A. Maccacaro, allora di- rettore dell’Istituto di Biometria e Statisti- ca Medica dell’Università statale di Mila- no. Denunciando la “medicalizzazione del- la politica”, ossia una “medicina [che è] sem- pre meno un sistema assistenziale e sempre più un sistema gestionale”, Maccacaro rile- vava come “tutto si risolve in ultima anali- si in un aumento di capacità del capitale a gestire medicalmente la società, magari fin- gendo di gestire socialmente la medicina” (13). La “politicizzazione della medicina”,
  • 7. Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 58, n. 3, luglio-settembre 2014 313Angelo Stefanini, Chiara Bodini al contrario, significa che la tutela della sa- lute e la lotta alla malattia non possono non avvenire che “attraverso l’attrito delle for- ze sociali che si confrontano” e a opera dei loro soggetti storici. È in tale contesto di continua lotta per la salute che Maccacaro vedeva il ruolo della partecipazione denun- ciando come, nonostante la Costituzione italiana (art. 3, secondo comma) ponga “l’ef- fettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e so- ciale del Paese” tra i compiti fondamentali delle Repubblica, “né la teoria né la prassi di tale partecipazione si sono alzate dal pia- no dell’attività, nemmeno in quella ipotesi di sanità riformata che declama la parteci- pazione come carattere essenziale delle sue unità di base” (14). Riconoscendo “l’intrin- seca solidarietà tra il problema della ‘salu- te’ e quello della ‘partecipazione’” (15), Maccacaro contrapponeva la nozione di “malattia come perdita di partecipazione” del sociologo Talcott Parsons (16) al suo modello concettuale di “perdita di parteci- pazione come sostanza di malattia”. In par- ticolare, identificava come nemici della par- tecipazione l’autorità, l’efficienza e la prov- videnzialità. L’autorità che rifiuta Macca- caro è quella che “indossati i panni della competenza, separatasi nella tecnica, costi- tuitasi come corporazione, legittimatasi come ordine - si pone di fatto quale esecu- trice dei comandi di un potere che la sovra- sta e che, pagatala con ruoli e privilegi, ne fa lo strumento più insidioso ed efficace del controllo sociale nelle forme della medica- lizzazione”. L’efficienza è nemica della par- tecipazione quando diventa “domanda del potere costituito” (17), avvalendosi della voluta e perpetrata confusione con l’effica- cia e tra la funzione dell’istituzione sanita- ria, ossia la tutela della salute, e il suo fun- zionamento, ridotto a ottimizzazione di se stessa anziché all’adempimento di tale fun- zione. Per “provvidenzialità”, infine, Mac- cacaro intende il “paternalismo”, ossia “quel modo di mettersi in rapporto con la realtà che prescinde dal suo ascolto; quell’attitu- dine a disporre risposte preformate che pre- scindono dalla formazione delle domande; quell’interpretazione del mandato ammini- strativo che infine determina una richiesta cui si consente soltanto di conformarsi al- l’offerta” (18). Partecipazione e salute globale Un altro importante spartiacque nella sto- ria moderna del concetto e della pratica della partecipazione popolare per la salute è stata la Dichiarazione del Millennio delle Nazio- ni Unite, firmata nel settembre del 2000. Nonostante il percorso modestamente par- tecipato che ha portato alla loro identifica- zione, i Millennium Development Goals (19) hanno segnato un cambiamento paradigma- tico nel modo in cui i policy-maker affronta- no i miglioramenti di salute. Tale cambia- mento si è incentrato sul riconoscimento che la salute migliora grazie a fattori socia- li e ambientali, e non solo attraverso inter- venti tecnici bio-medici e modelli econo- mici. Mentre il predominio degli operatori sanitari qualificati nelle scienze mediche è rimasto intatto, è cresciuta la domanda di attenzione nei confronti dei determinanti sociali della salute e dei bisogni ed esigenze dei beneficiari dell’assistenza sanitaria. Due documenti pubblicati nel 2008 dall’OMS sono indicativi di questo cambiamento. Il primo è il World Health Report dal titolo “Primary Health Care: ora più che mai” (20) che, se pur timidamente, promuove il ri- torno ai valori e alla visione della Dichiara- zione di Alma Ata. Il secondo è il rapporto
  • 8. 314 Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 58, n. 3, luglio-settembre 2014 Salute e partecipazione della comunità. Una questione politica della Commissione OMS sui determinanti sociali della salute (21), istituita nel 2005 e composta da una vasta gamma di esperti provenienti da una varietà di discipline e Paesi. Il rapporto documenta con forza la stretta relazione tra stato di salute e deter- minanti sociali quali il reddito, l’istruzio- ne, il tipo di lavoro, l’accesso alla assistenza sanitaria, la capacità dei popoli di compiere scelte e il buon governo. Non sarebbe corretto sostenere che questi documenti hanno prodotto un consenso ge- nerale su come migliora la salute. Quello che hanno fatto, però, è stimolare un’arena per un ulteriore dibattito su questi temi. A titolo di esempio, il terzo simposio globale sulla ricerca nei sistemi sanitari, svoltosi recentemente a Cape Town, ha avuto come tema portante gli approcci ‘centrati sulla persona’. In tale contesto, l’egemonia del- l’ideologia di mercato è stata presentata come fondamentale ostacolo per qualunque tentativo di riportare realmente le persone, e dunque i bisogni (o determinanti) sociali, al centro dei sistemi di salute. La logica conseguenza è la necessità di agire su leve di potere per controvertire l’attuale (dis)equilibrio, che non consente l’emerge- re di alternative soprattutto a livello istitu- zionale. A questo proposito, è stato chia- mato in causa in maniera esplicita il ruolo dei movimenti sociali, e l’importanza di contemplarne le potenzialità e i meccani- smi d’azione a livello di ricerca, di analisi politica e di pianificazione delle politiche. Solo la mobilitazione sociale può infatti rap- presentare la forza necessaria a orientare realmente le politiche di salute verso le per- sone. Si torna così alla necessità primaria di costruire potere politico, ed è chiaro che ciò non può avvenire in un convegno di esperti né a livello dei ‘piani alti’ della governance globale, bensì là dove le tanto citate ‘perso- ne’ sono naturalmente al centro, ovvero nei loro contesti di vita e di lavoro. Il contesto italiano Secondo Luca Negrogno e Riccardo Ierna, autori di un contributo sul blog lavoroculturale.org, la questione della par- tecipazione nello scenario italiano “va col- locata in un problema molto più generale, che investe oggi tutti i servizi sociali e sa- nitari. Si tratta della crisi dello stato socia- le tradizionale, una crisi che oggi prende la forma di due imperativi: controllare la spe- sa e rendere più efficaci gli interventi” (22). Coinvolgere la comunità diviene dunque anche una necessità di fronte alla crescente carenza di risorse e all’inadeguatezza del- l’offerta rispetto a bisogni sempre più com- plessi (si pensi all’incremento delle patolo- gie croniche e alla necessità di muovere ra- pidamente verso una territorializzazione dei servizi in un sistema ancora largamente ospedalo-centrico, nella struttura come nella cultura organizzativa). Prendendo come caso di studio il coinvolgimento di utenti e fa- miliari esperti nei servizi di salute mentale, Negrogno e Ierna evidenziano il rischio che le pratiche di partecipazione messe in atto costruiscano forme di “cittadinanza dimi- nuita”, in cui il cittadino è partecipe solo in quanto utente o familiare e in cambio di un adeguamento alla cultura e all’organizzazio- ne del servizio: “per essere “utenti esperti” l’identità di utente deve essere accettata, anzi, deve diventare un’identità totalizzan- te: solo attraverso di essa si può accedere ad una forma positiva di cittadinanza, ad un posto dignitoso nel mondo. La responsabi- lità di cambiare è dei singoli, le persone possono migliorare il servizio “lavorandoci dentro”, e soccorrendo alla carenza di risor-
  • 9. Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 58, n. 3, luglio-settembre 2014 315Angelo Stefanini, Chiara Bodini se pubbliche” (23). Nella situazione descrit- ta, ciò che viene chiamato “partecipazione” è di fatto un processo gestito attraverso il filtro delle etichette e in un rapporto indi- vidualizzato con l’utenza, il cui oggetto è definito dalla diagnosi e dall’intervento tec- nico al netto di possibili conflitti. I concetti di partecipazione ed empowerment rimandano però a ben altre relazioni, in cui i cittadini hanno la facoltà di intervenire nei livelli tanto programmatori quanto gestio- nali dei servizi, in un’accezione non setto- rializzata e predefinita ma di negoziazione ampia sulle priorità di allocazione delle ri- sorse e di intervento. Riprendendo l’analisi fatta a livello internazionale, è verosimile che tale cambiamento di prospettiva e pra- tiche non possa provenire “dall’alto”, ad opera di decisori o programmatori per quan- to “illuminati”. Per immaginare nuove e reali forme di partecipazione è dunque ne- cessario pensare a una crescita del potere contrattuale collettivo dei cittadini, all’in- terno di una riconfigurazione dello spazio pubblico in spazio nuovamente, e profon- damente, politico. BIBLIOGRAFIA 1. Seppilli A. La popolazione: soggetto del sistema. L’Educazione Sanitaria 1971; XVI(2-3):159-167. 2. Legge 23 dicembre 1978, n. 833 “Istituzione del servizio sanitario nazionale”. Titolo 1, Capo 1, 1. 3. Stefanini A. Politiche di salute e salute della politi- ca. Qualità Equità 2000;19: 74-82. 4. Newell,K. W. Health by the people. Geneva, Switzerland:WHO; 1975. 5. Walsh J A, Warren KS. Selective primary health care: an interim strategy for disease control in developing countries. The New England journal of medicine 1979; 301(18): 967-974. 6. Rifkin SB.Paradigms lost: toward a new understanding of community participation in health programmes. Acta tropica 1996; 61(2): 79-92. 6 Ibid, p. 79. 7. Montero M. Participation in Participatory Action Research. Annual Review of Critical Psychology, 2000; 2:131-143. 8. Genat B. Building emergent situated knowledges in participatory action research. Action Research, 2009; 7(1):101-115. 9. Ibid, p. 79. 10.Rifkin SB. Lessons from community participation in health programmes: a review of the post Alma- Ata experience. International Health 2009; 1(1): 31-36. 11.De Vos P, De Ceukelaire W, Malaise G, Pérez D, Lefèvre P, Van der Stuyft P. Health through people’s empowerment: a rights-based approach to participation. Health and human rights, 2009; pp. 23-35. 12.Maccacaro GA. Classe e Salute. In: Per una medi- cina da rinnovare. Scritti 1966-1976. Milano: Feltrinelli, p. 445. 13.Maccacaro GA. L’Unità Sanitaria Locale come Si- stema, in Per una medicina da rinnovare. Scritti 1966-1976. Milano: Feltrinelli, p.383. 14.Ibid, p. 385. 15.Parsons T. Il sistema sociale, trad. it. Italiana Mila- no: Ed. di Comunità; 1981. 16.Maccacaro GA. Medicina Democratica, movimen- to di lotta per la salute. In: Per una medicina da rinnovare. Scritti 1966-1976. Milano: Feltrinelli, p. 467. 17.Ibid, p. 468. 18.World Health Organization. Millennium development goals. Geneva:WHO; 2008. 19.Van Lerberghe W. The world health report 2008: primary health care: now more than ever. Geneva:WHO; 2008. 20.Commission on Social Determinants of Health. Closing the gap in a generation: health equity through action on the social determinants of health: final report of the commission on social determinants of health; 2008. 21.Negrogno L, Ierna R. (2014). L’inclusione è terapeutica? http://www.lavoroculturale.org/que- stione-inclusione/ 22. Ibid.