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MENTE VAGANTE E COGNIZIONE UMANA
Giovanni Coglitore
Gli esseri umani, quando sono a riposo o svolgono attività monotone o poco impegnative dal punto
di vista cognitivo, tendono ad essere attraversati da un flusso di pensieri spontanei e transitori,
rivolti internamente. Questo particolare stato mentale, definito “mente vagante”, impegna circa il
50% delle ore di veglia della vita quotidiana e riflette la natura del pensiero spontaneo, indipendente
dall’attività in corso e al di fuori della consapevolezza cosciente. Il contenuto dei pensieri interni è
fondamentalmente caratterizzato da immagini mentali correlate al sé e rivolte agli accadimenti del
passato recente e alle prospettive del futuro immediato, in relazione alle preoccupazioni del
soggetto pensante. L’esplorazione neuroscientifica con le brain-imaging, ottenute con la tomografia
ad emissione di positroni e la risonanza magnetica funzionale, ha dimostrato che la mente vagante
impegna una particolare rete neurale definita "default-mode network". Questa rete
caratteristicamente mostra una maggiore attività nello stato di riposo di un individuo, rispetto a
quando lo stesso individuo svolge un compito cognitivo che richiede attenzione, suggerendo un suo
coinvolgimento nel generare pensieri spontanei interni. Il carattere frequente e ubiquitario della
mente vagante suggerisce che essa svolga importanti funzioni nel contesto della cognizione umana.
Le funzioni ipotizzate includono: (i) il processo di anticipazione e pianificazione del futuro e di
adattamento dei comportamenti finalizzati alla soluzione dei problemi rilevanti della vita
quotidiana, (ii) il processo decisionale per la risoluzione dei problemi complessi, e (iii) la creatività.
Parole chiave: mente vagante, pensieri spontanei, pensiero indipendente dal compito, creatività,
default-mode network.
WANDERING MIND AND HUMAN COGNITION
by Giovanni Coglitore
When resting or performing cognitive tasks that are either monotonous or short demanding, human
beings tend to experience a spontaneous and momentary flow of self-directed thoughts. This
particular state of mind, called "wandering mind", commits around 50% of the waking hours in the
daily life and reflects the nature of the spontaneous thought, which is current task-independent, and
conscious awareness-independent. The content of the inner thoughts is basically characterized by
mental images that are self-related and addressed to both the events of the recent past and the
prospects of the immediate future, in relation to the preoccupations of the thinking subject. The
neuroscientific exploration with brain-imaging, using positron emission tomography and functional
magnetic resonance imaging, showed that the wandering mind engages a particular set of brain
regions called "default-mode network". This network typically shows increased activity in the
resting state of an individual compared to when the same individual performs a cognitive task that
requires attention, suggesting its involvement in generating spontaneous internal thoughts. The
pervasive and common nature of mind wandering suggests that it serves some important functions
in the context of human cognition. The functions hypothesized include: (i) the process of
anticipating and planning for the future and adaptation of behaviors aimed at major problems
solving of everyday life, (ii) the decision making process for the resolution of complex problems,
and (iii) creativity.
Keywords: wandering mind, spontaneous thought, task independent thought, creativity, default-
mode network.
Giovanni Coglitore PhD
Staff Direzione Strategica – Reputation & Brand
Azienda USL di Modena
MENTE VAGANTE E COGNIZIONE UMANA
1. INTRODUZIONE
Gli esseri umani trascorrono un periodo consistente della loro vita quotidiana pensando
spontaneamente, soprattutto quando sono a riposo o svolgono attività cognitive monotone o poco
impegnative. Classico è l’esempio di ciò che spesso accade alle persone durante la lettura di un
libro o di una rivista: nel proseguo della lettura, esse finiscono col perderne la traccia rendendosi
conto, il più delle volte a piè di pagina, che la loro mente andava spontaneamente per conto proprio
(vagava), pensando ad altro. Simili esperienze costituiscono una parte notevole della nostra
esperienza mentale e corrispondono a episodi transitori di pensiero spontaneo, al di fuori della
consapevolezza cosciente, ovvero a pensieri che hanno direzione e obiettivi differenti e indipendenti
dalle attività coscienti in corso.
La cognizione spontanea, intesa come libera e autonoma attività della mente diretta
internamente (Singer 1966), cioè non vincolata da condizioni e circostanze ambientali esterne,
riflette la natura del pensiero non orientato verso un obiettivo esterno, in competizione dinamica
con il pensiero intenzionale che si manifesta attraverso la rappresentazione consapevole di uno
specifico obiettivo esterno. Pensiero spontaneo e pensiero intenzionale scandiscono le differenti
modalità con cui il pensiero in generale si può esprimere e insieme costituiscono la modalità globale
dell’estrinsecarsi del pensiero umano quale è andato a costituirsi nel lungo cammino del processo
evolutivo.
Mentre nel passato la letteratura ufficiale non aveva prestato molta attenzione al pensiero
spontaneo - è possibile trovare solo sporadici riferimenti occasionali nella filosofia antica e
moderna e nella psicologia teorica - solo a partire dagli anni Sessanta i ricercatori hanno
riconosciuto la sua importanza nel contesto della fenomenologia del pensiero umano e il suo ruolo
nell’ambito della cognizione (Christoff 2004; Dijksterhuis 2004; Giambra e Grodsky 1989; Klinger
e Cox 1987; Singer e Schonbar 1961) e soprattutto nell’ultima decade, hanno iniziato ad esplorare
le sue dinamiche attraverso il paradigma delle scienze sperimentali.
Oggi, una vasta letteratura dimostra che è possibile lo studio dell’esperienza interna e degli stati
mentali in generale, prima esclusivo dominio delle scienze umanistiche, attraverso l’approccio
scientifico neuro-fenomenologico (Lutz e Thompson, 2003), nella considerazione che il concetto di
mente, nella sua accezione biologica, sia il prodotto del processo evolutivo e quindi riconducibile ad
un insieme di fenomeni neuro-biologici appartenenti alla natura umana e spiegabili con la
metodologia dell’indagine empirica.
I ricercatori delle discipline cognitive interessati alla tematica hanno utilizzato nel tempo una
differente terminologia per definire questa esperienza interiore. I termini utilizzati comprendono
una varietà di definizioni, tra cui “sogni ad occhi aperti” (Giambra 1979); “immagini e pensieri non
correlati al compito” (Giambra e Grodsky 1989); “pensiero indipendente dallo stimolo” (McGuire
et al. 1996; Mason et al. 2007a); “pensiero non correlato al compito (Smallwood et al. 2003);
“pensiero spontaneo” (Christoff, Ream e Gabrieli (2004); “mente vagante” (Klinger e Cox 1987;
Smallwood e Schooler 2006; Christoff et al. 2009; Schooler et al. 2011); “discorso interiore”
(Morin 2009); “mentazione interna” (Andrews-Hanna 2011); “pensiero non orientato” (Christoff
2012). Allo stato attuale, dunque, manca una terminologia univoca, di certo perché i singoli termini
non sono del tutto sovrapponibili, riferendosi a processi mentali interni in parte con caratteristiche
comuni, in parte differenti; ma la molteplicità delle denominazioni attribuite dai ricercatori a questa
tipologia di pensiero testimonia dell’interesse indiscutibile e crescente su questo argomento negli
anni recenti. Mentre si rileva dunque l’esigenza che si provveda in un futuro prossimo ad una più
accurata e dettagliata tassonomia degli stati mentali interni per distinguerne le differenze, in questo
articolo, al fine di non ingenerare confusione, si fa riferimento alla mente vagante che rappresenta la
forma più frequente di pensiero spontaneo.
2. LA MENTE VAGANTE: FENOMENO COGNITIVO FREQUENTE E PERVASIVO
La mente vagante si riferisce all’esperienza mentale interna che insorge spontaneamente e
transitoriamente nella vita quotidiana degli esseri umani durante i periodi di inattività o nel corso di
attività cognitive monotone o poco impegnative dal punto di vista attentivo. Essa è dunque definita
dalla mancanza di relazione con le attività esterne ambientali (Christoff et al. 2009; Killingsworth e
Gilbert 2011; Klinger e Cox 1987; Smallwood e Schooler, 2006).
La prima descrizione della mente vagante può farsi risalire a William James (1890), secondo cui
il pensiero degli esseri umani “tende ad andare alla deriva”, espressione che vuole sottolineare la
natura spontanea di questa modalità di pensiero. Contrariamente alla credenza popolare che
interpreta la mente vagante come distrazione, sbadataggine, ruminazione, ripetitività, errore di
attenzione, vuoto mentale, James soleva dire, quando gli si faceva notare di essere distratto, che in
realtà la sua mente era rivolta ai suoi pensieri (Barzun 1983). Nel suo manuale Principles of
Psychology, l’autore sostiene:
Tutti sanno che cosa è l'attenzione. È la presa in possesso da parte della mente, in forma chiara e vivida, di uno
di quelli che sembrano più oggetti contemporaneamente possibili o treni di pensiero (trains of thought). La
focalizzazione e la concentrazione, della coscienza sono della sua essenza. Essa implica il ritiro da alcune cose in
modo da affrontare efficacemente le altre, ed è una condizione che ha un fronte reale nello stato confuso, stordito,
sbadato che in francese si chiama distrazione (distraction) e disattenzione (zerstreutheit) in tedesco (James 1890,
403-404).
L’autore prosegue con la descrizione magistrale della mente vagante:
Tutti noi conosciamo questa condizione anche nel suo grado estremo. La maggior parte delle persone
probabilmente cade più volte al giorno in uno stato mentale simile: gli occhi sono fissi nel vuoto, i suoni nel
mondo si fondono in una unità confusa, l’attenzione è dispersa in modo che tutto il corpo si sente, per così dire, in
una sola volta, e il primo piano della coscienza è riempito, se non dal nulla, da una sorta di senso solenne di resa al
passaggio vuoto del tempo (Ibidem).
Più tardi lo stesso James (1892) definisce la tendenza della mente a vagare “flusso di coscienza”
(stream of consciousness). I due termini, treni di pensiero e flusso di coscienza, sono
concettualmente sovrapponibili ed entrambi sostanzialmente si riferiscono al succedersi in
continuum (in forma di concatenazioni o di flussi) della sequenza di pensieri spontanei ed estranei
alle attività correnti che insorgono autonomamente negli individui nella vita di ogni giorno.
Una ripresa di interesse sul pensiero spontaneo e sul ruolo che esso possa avere nella cognizione
umana si ha soltanto negli anni Sessanta (Singer e McCraven 1961), e con le osservazioni di Eric
Klinger che al riguardo così si esprime:
Gli esseri umani trascorrono quasi tutto il loro tempo in un qualche tipo di attività mentale; molto del loro
tempo consiste non del pensiero ordinato, ma di momenti e frammenti di esperienza interiore: sogni a occhi aperti,
fantasticherie, monologhi interiori vaganti, immagini vivide, e sogni. Questi miscugli saltuari (…) contribuiscono
molto allo stile e al sapore dell’essere umano. (…) sicuramente una serie di attività così marcate non può essere
senza funzione (Klinger 1971, 347).
Negli ultimi dieci anni, lo studio del pensiero spontaneo ha rappresentato una sfida nell’ambito
delle discipline cognitive, che sorprendentemente avevano ignorato per così lungo tempo un
fenomeno così frequente nella vita degli esseri umani, anche in ordine alle funzioni da esso
potenzialmente sostenute.
È indubbio che il pensiero spontaneo forma una parte consistente della esperienza mentale degli
esseri umani. I dati disponibili sono impressionati: Singer e McCraven (1961) sostengono che il
96% degli americani adulti segnala di sognare ad occhi aperti ogni giorno; Smallwood e Schooler
(2006) riferiscono che gli individui, in condizioni sperimentali in laboratorio, impegnano tra il 15 e
il 50% delle ore di veglia vagando con la mente; Kane et al. (2007) rilevano che mediamente il 30%
del tempo è impegnato dagli individui nel pensiero spontaneo, disgiunto dalle loro abituali
occupazioni; Klinger (2009) e Andrews-Hanna et al. (2010) trovano che il pensiero spontaneo
occupa circa il 50% del tempo dello stato di veglia di un individuo. In un recente lavoro
Killingsworth e Gilbert (2010), mediante un’applicazione Web per l’iPhone che mette in contatto il
Centro raccolta dati con una popolazione di individui di 2250 adulti attraverso il loro iPhone e ai
quali è stato chiesto cosa pensassero nel momento del contatto telefonico per verificare se le loro
menti stessero vagando e su quali argomenti, hanno rilevato che il 46,9% del campione stava
vagando con la mente indipendentemente da quello che stava facendo e dalla categoria
professionale di appartenenza, con una prevalenza della mente vagante nella vita reale in genere
sovrapponibile a quella osservata negli studi sperimentali più recenti.
Il pensiero spontaneo riflette dunque quel che gli esseri umani abitualmente fanno in una parte
considerevole della loro vita durante le ore di veglia, in cui sono impegnati per circa la metà del
tempo in pensieri estranei alle attività correnti e si caratterizza come fenomeno cognitivo frequente
e pervasivo che interessa ogni essere umano (Singer e McRaven 1962). I neurofisiologi segnalano
che anche durante il sonno gli esseri umani hanno da 90 a 100 minuti di sogni REM, nel corso dei
quali “vivono” esperienze emotive interne (Payne et al. 2008), che si verificano anche nel sonno a
onde lente soprattutto nella prima metà della notte (Steriade 2006).
A giudicare dalla frequenza e pervasività con cui il pensiero spontaneo si inserisce e si fa strada,
in determinate condizioni, nella mente nel corso delle nostre abituali attività quotidiane, spostando
l’attenzione su contenuti diversi rispetto a quelli in corso, il ricercatore delle discipline cognitive
non può non chiedersi se la mente vagante corrisponda a processi mentali irrilevanti, ovvero svolga
una qualche funzione nel contesto del pensiero globale, in questo caso valutandone l’importanza
come fenomeno cognitivo che accompagna gran parte del corso della nostra vita, integrato nel più
vasto ambito della cognizione umana.
3. IL CONTENUTO DELLA MENTE VAGANTE
L’analisi del contenuto della mente vagante rileva, sia nella ricerca sperimentale che nel mondo
reale, che essa è rivolta agli accadimenti del recente passato, alle sensazioni interiori del presente e
in misura ancora più prevalente alla immaginazione di scenari che riguardano il futuro immediato
del pensatore (Andrews-Hanna et al. 2010; Christoff 2012). In questo contesto gli esseri umani
vagano con la mente in direzione di questioni personali importanti per loro stessi. Già Klinger
(1971) aveva proposto “l’ipotesi della preoccupazione attuale”, significando che in assenza di
circostanze cognitive impegnative esterne, la mente sposta il proprio interesse da un particolare
obiettivo deliberatamente scelto ad altro obiettivo connesso alle nostre preoccupazioni in corso.
La tendenza degli individui a vagare con la mente sembrerebbe corrispondere a una qualità
peculiare del cervello umano, quella cioè di prestare attenzione caratteristicamente a ciò che ritiene
più importante e rilevante per il soggetto pensante, selezionando gli obiettivi da un “treno di
pensiero” diretto internamente, in funzione della loro importanza per l’individuo. Questa tendenza
della mente ad abbandonare un obiettivo a favore di un altro si realizza spontaneamente, come ad
esempio durante la lettura di un testo o durante la guida, e non richiede l’intenzione consapevole
degli individui, sicché il grado di consapevolezza esplicita del contenuto della mente vagante è
molto basso, per cui essi non hanno modo di accorgersi che la loro mente vaga o ne sono solo
parzialmente coscienti (Smallwood e Schooler 2006).
Questo spostamento di attenzione, indotto dal basso interesse per l’argomento corrente e di
contro sollecitato, senza il concorso della volontà, da un evento di maggiore interesse
personalmente rilevante, è il meccanismo fisiologico chiave per il manifestarsi della mente vagante.
Le fluttuazioni cicliche cui va incontro la mente nel rapportarsi a input sensoriali esterni e interni si
realizzano attraverso il processo che in neuroscienze cognitive è definito “accoppiamento-
disaccoppiamento attenzionale” (Smallwood e Schooler 2006) o “percettivo” (Schooler et al. 2011),
con cui l’attenzione, alternativamente, si associa alla percezione e si disimpegna da essa, cioè dalla
elaborazione delle informazioni sensoriali provenienti dall’ambiente esterno e si concentra invece
sui pensieri spontanei interni. Lo spostamento delle risorse attenzionali dal contesto esterno nel
corso della mente vagante si accompagna a smorzamento nella elaborazione degli stimoli
ambientali e ad abbassamento della concentrazione attentiva cosciente e della vigilanza (Oken et al.
2006) e più in generale delle capacità cognitive. La mente vagante, attraverso il processo di
disaccoppiamento dell’attenzione cosciente, attenua fortemente e spesso interrompe la percezione
del contesto esterno, ovvero il rapporto tra la mente e l’attività in corso (ad esempio la lettura di un
testo o la guida), consentendo quindi alla coscienza di dedicarsi e concentrarsi sui contenuti del
pensiero spontaneo interiorizzato. Se la mente vagante provoca il disaccoppiamento percettivo, la
limitata elaborazione delle informazioni esterne che ne segue non può non riflettersi sul
monitoraggio dell’ambiente esterno e sulla performance delle attività correnti. Si spiega così, nel
periodo in cui la mente vaga, la mancata comprensione di un testo durante la lettura (c.d. lettura
cieca) o le frequenti “dimenticanze per distrazione” nel corso della vita quotidiana o il possibile
errore, così gravido di rischi, connesso alla diminuita concentrazione attenzionale durante la guida.
4. I CORRELATI NEURALI DELLA MENTE VAGANTE
Lo studio delle reti neurali che supportano la mente vagante ha avuto un decisivo impulso con le
brain-imaging ottenute con la tomografia ad emissione di positroni (PET) e con la risonanza
magnetica funzionale (fMRI). Con tali tecniche, associate a metodologie tipiche delle scienze
sperimentali, è stato dimostrato che la mente vagante impegna una particolare rete neurale, definita
"default-mode network" (DMN) (Andrews-Hanna et al. 2010; Christoff, Gordon e Smith 2008;
Mason et al. 2007). Questa rete caratteristicamente mostra una maggiore attività, con alto grado di
connettività funzionale tra le aree che la compongono, nello stato di riposo di un individuo, rispetto
a quando lo stesso individuo svolge un compito cognitivo che richiede attenzione (Raichle et al.
2001), suggerendo un suo ruolo nel supportare i pensieri spontanei interni.
Sul piano anatomico la DMN è definita da un sistema cerebrale di grandi dimensioni che
comprende la corteccia prefrontale mediale (mPFC) ventrale e dorsale, la corteccia cingolata
anteriore (ACC), la corteccia cingolata posteriore (PCC) con la corteccia retrospleniale e il
precuneo, i lobi temporale mediali e laterali (MTL) e i lobuli parietali posteriori inferiori (pIPL)
(Andrews-Hanna et al. 2010; Buckner et al. 2008; Raichle e Snyder 2007). Sul piano funzionale, i
risultati degli studi PET e fMRI suggeriscono che la rete default svolga un ruolo importante nei
processi mentali generati internamente, come la mente vagante, e più in generale nei processi della
cognizione spontanea e della cognizione sociale (Starwarczyk et al. 2011).
La questione di come differenti regioni del cervello, funzionalmente connesse, operino
attraverso il sistema delle interazioni coordinate al proprio interno e con altri circuiti cerebrali nel
supportare le funzioni cognitive, è diventata argomento di massimo interesse nel campo delle
Scienze e Neuroscienze Cognitive. Sebbene non ci sia in atto un consenso unanime sulle esatte
funzioni neurocognitive supportate dalla rete default, tuttavia gli elementi forniti dalla letteratura
più recente sostengono che l’attività della DMN è associata ai processi mentali interni del pensiero
spontaneo e in generale a una vasta gamma di funzioni cognitive, in linea con le recenti scoperte
che suggeriscono che le diverse aree che compongono la rete mostrano un certo livello di relativa
specializzazione funzionale o di affinità per specifiche esigenze cognitive (Buckner et al. 2008;
Christoff 2012; Christoff et al. 2004; Vincent et al. 2006).
Gli studi più recenti evidenziano che il reclutamento della mPFC ventrale riflette l’elaborazione
autoreferenziale (Andrews-Hanna et al. 2010; Kelley et al. 2002). La mPFC dorsale è associata
all’attribuzione dei pensieri e delle intenzioni degli altri individui (Teoria della Mente) (Spiers e
Maguire 2006). La PCC, il precuneo e la corteccia retrospleniale sono reclutati nel pensiero diretto
internamente, nella elaborazione degli stati emotivi, nel monitoraggio dell’ambiente esterno e nella
memoria episodica (Andrews-Hanna et al. 2010; Buckner et al. 2008). L’area del MTL contribuisce
al recupero e al consolidamento dei ricordi autobiografici (Christoff et al. 2004) e alla simulazione
di eventi futuri (Buckner 2010).
L’esplorazione neuroscientifica dei correlati neurali che supportano la mente vagante è oggi
soltanto agli inizi. Lo studio delle dinamiche cerebrali coinvolte nella mente vagante suggerisce il
reclutamento di parecchie aree all’interno della rete default e il coinvolgimento di altre aree
cerebrali (rete del sistema esecutivo, rete dorsale dell’attenzione, e altre), con le quali la DMN è
funzionalmente connessa e la cui descrizione va oltre gli obiettivi di questo articolo.
Nell’insieme i risultati della recente ricerca dimostrano che la DMN costituisce la base neurale
dei processi mentali interni, in particolare degli eventi personali del passato e degli obiettivi futuri, i
cui contenuti caratterizzano il vissuto della mente vagante (Mason et al. 2007) e più in generale
della cognizione spontanea (Andrews-Hanna et al. 2010; Christoff et al. 2012). Queste conclusioni
concordano del resto con le osservazioni che i danni della rete default sono associati a “vuoti
mentali” (Damasio e Van Hoensen 1983) e che l’invecchiamento produce alterazioni a carico della
rete con corrispondente impoverimento di pensiero spontaneo (Giambra 1989).
5. LE FUNZIONI DELLA MENTE VAGANTE
La frequenza con cui la mente vagante si manifesta e la sua caratteristica pervasività obbligano
a porci domande fondamentali: qual è il suo significato funzionale, atteso che la mente impegna
gran parte delle sue risorse attentive disponibili al di fuori delle abituali occupazioni di un
individuo, spostandole verso i pensieri spontanei interni e quale il ruolo del pensiero spontaneo
nella economia della cognizione umana? In altri termini, perché la mente è organizzata a vagare? È
improbabile che tali risorse mentali a servizio del pensiero spontaneo non abbiano alcuna funzione
cognitiva (Klinger 1971; Baars 2010).
La considerazione che i contenuti della mente vagante riguardino prevalentemente le esperienze
personali del recente passato e gli obiettivi del futuro immediato di un individuo suggerisce che essa
è una funzione cognitiva correlata al sé, un flusso frequente di esperienza soggettiva e di
elaborazione auto-referenziale (Northoff et al. 2006). La mente vagante da un lato favorisce la
verifica e il consolidamento degli eventi significativi personali del passato (Andrews-Hanna et al.
2010), le cui rappresentazioni episodiche isolate nella memoria vengono integrate “in una coerente
e significativa struttura autobiografica che ci dà un senso del sé” (Christoff, Gordon e Smith 2008,
p. 25) e riorganizzate e raggruppate con il risultato di potenziare le capacità associative cerebrali, e
dall’altro permette di proiettarci nel futuro immediato, prefigurando i possibili scenari in relazione
alle nostre attuali preoccupazioni e simulandoli prima che accadano (Andrews-Hanna et al. 2010).
In tal modo la mente vagante conferisce un senso di coerenza alle personali esperienze passate,
presenti e future (Cabeza e St Jacques 2007; Vincent et al. 2006), integrandole e servendosene per i
processi di pianificazione futura e dunque svolge un ruolo importante di adattamento dei
comportamenti finalizzati alla soluzione dei problemi rilevanti della vita quotidiana (Baars 2010;
Schooler et al. 2011) e per affrontare le vicissitudini del complesso mondo sociale (Frith 2007).
L’ipotesi che la mente vagante svolga un ruolo adattativo importante ai fini della pianificazione
futura è in linea con la conclusione cui sono pervenuti alcuni ricercatori (Dijksterhuis 2004;
Dijksterhuis, Nordgren e van Baaren 2006), secondo i quali il pensiero spontaneo è importante per
il processo decisionale. I risultati di studi sperimentali suggeriscono infatti che per le decisioni
semplici è sufficiente il pensiero intenzionale cosciente. Allorquando si tratta di scegliere tra più
soluzioni riguardanti una decisione complessa, la scelta più appropriata scaturisce dopo che i
soggetti interessati sono stati impegnati in un’attività mentale spontanea (un vagare inconscio della
mente) che comportava una temporanea “distrazione” della mente rispetto alla decisione da
prendere. In tal modo il cervello, durante il periodo dell’attività mentale spontanea inconscia, può
recuperare e utilizzare un’elevata capacità associativa di integrare maggiori informazioni utili per
una decisione complessa migliorandone la qualità, mentre il pensiero intenzionale cosciente può
attingere da un potenziale di informazioni relativamente basso e quindi risultare meno efficiente e
vantaggioso nel processo decisionale per i problemi complessi. Dijksterhuis in un’intervista del
2006 alla Reuters Health così argomenta:
“Quando si deve prendere una decisione, il primo passo dovrebbe essere quello di ottenere tutte le informazioni
necessarie per la decisione. Una volta avute le informazioni, si deve decidere, e questo è fatto meglio con il
pensiero cosciente per le decisioni semplici, ma lasciate al pensiero inconscio – al 'dormire su di esso' - quando la
decisione è complessa”.
Le conclusioni di Dijksterhuis non si discostano da quelle cui era giunto Sigmund Freud circa
cento anni prima. Secondo il padre della psicoanalisi, nel prendere una decisione d’importanza
minore, bisogna considerare tutti i pro e i contro. In questioni vitali, tuttavia, come la scelta di un
compagno o di una professione, la decisione dovrebbe venire dall'inconscio, da qualche parte dentro
di noi. Nelle decisioni importanti della vita personale, dovremmo essere governati, a seguire Freud,
dalle esigenze interiori profonde della nostra natura.
Alcuni ricercatori ipotizzano che la mente vagante possa essere considerata anche una fonte di
creatività, uno stato mentale che può condurre a intuizioni creative (Christoff et al, 2009;
Dijksterhuis, Nordgren e van Baaren 2006; Schooler et al, 2011). La letteratura è ricca di aneddoti
riferiti a scienziati e artisti che sostengono che le loro idee creative si sono manifestate dopo un
periodo di “distrazione” spontanea, un periodo di incubazione che ha contribuito, attraverso il
vagare della mente, a intuizioni e soluzioni creative (Klinger 2009; Poincaré 1952). L’argomento è
in atto oggetto di ricerca nell’ambito della psicologia sperimentale, delle scienze e neuroscienze
cognitive, anche sulla base di recenti studi i cui risultati dimostrano che, dopo un periodo di
“distrazione” in cui la mente vaga, ovvero di spostamento dell’attenzione dall’attività in corso, le
idee maturate raggiungono un più alto grado di creatività nella soluzione dei problemi rispetto a
quelle generate dal solo pensiero intenzionale cosciente (Baird et al, 2012; Dijksterhuis, Nordgren e
van Baaren 2006).
Una questione tuttora molto dibattuta riguarda il legame che intercorre tra mente vagante e stati
d’animo. È stato rilevato che la mente vagante è comune negli stati di cattivo umore (Smallwood et
al. 2009), nella depressione (Smallwood et al. 2007) e nelle condizioni di abuso del consumo di
alcol (Finnigan, Schulze e Smallwood 2007). Gli stati d’animo negativi indurrebbero la mente a
vagare, spostando le risorse attenzionali dall’attività corrente verso i problemi personalmente
rilevanti. Al contrario, lo stato d’animo positivo è associato ad una migliore capacità di concentrare
le risorse attentive sull’attività corrente, senza “distrazioni” o errori che la mente vagante può
comportare. Altri ricercatori sostengono invece che la mente vagante è associata a bassi livelli di
felicità ed è in genere la causa e non la conseguenza degli stati d’animo negativi e concludono che
“una mente umana è una mente vagante e una mente vagante è una mente infelice” (Killingsworth e
Gilbert 2010, p. 932). Il vantaggio legato alla mente vagante in termini di adattamento dei
comportamenti finalizzati alla soluzione dei problemi rilevanti della vita quotidiana e dunque di
pianificazione futura e di creatività “è un successo cognitivo (del processo evolutivo) che arriva a
un costo emotivo” (Killingsworth e Gilbert 2010, p. 932). La questione è tuttavia controversa,
poiché è stato anche rilevato che lo stato d’animo positivo o negativo di un individuo è correlato
alla qualità del contenuto dei pensieri spontanei: i pensieri spontanei con contenuto emotivo
negativo comporterebbero depressione, quelli con contenuto emotivo positivo indurrebbero o
potenzierebbero uno stato d’animo positivo (Cohn et al. 2009).
6. CONCLUSIONI
Le conoscenze attuali fornite da una grande mole di studi teorici e sperimentali indicano che la
mente vagante, che emerge caratteristicamente quando gli individui sono a riposo o svolgono
attività monotone o poco impegnative, è una forma di pensiero spontaneo internamente diretto, in
competizione dinamica con il pensiero intenzionale cosciente che si manifesta attraverso la
rappresentazione consapevole di un determinato obiettivo esterno.
Al contrario di Freud che considerava il vagare della mente un’attività irrilevante e un esempio
di pensiero infantile e della comune credenza popolare secondo la quale la mente vagante è
distraente e potenzialmente nociva, oltreché inutile e improduttiva secondo la logica della cultura
attuale ossessionata dall’efficienza, è ragionevole ritenere che essa rappresenti un aspetto della
cognizione umana ricco di significative funzioni.
L'analisi qualitativa della natura dei pensieri che emergono spontaneamente mentre la mente
vaga suggerisce che essa possa avere una funzione importante nel processo di anticipazione e
pianificazione del futuro e di adattamento dei comportamenti finalizzati alla soluzione dei problemi
rilevanti della vita quotidiana. Viene inoltre ipotizzato che la mente vagante svolga un ruolo
significativo nel processo decisionale per la risoluzione dei problemi complessi e alcune prove
sostengono che possa essere considerata una fonte di creatività. Rimane controversa, infine, la
questione riguardo al legame tra mente vagante e stati d’animo, con alcune evidenze che
suggeriscono che essa sia la causa di stati d’animo negativi, mentre altre ritengono che ne sia la
conseguenza.
Nonostante i notevoli progressi delle discipline cognitive, molto resta ancora da definire in
ordine ai paradigmi e alle metodologie per studiare la mente vagante e il pensiero spontaneo in
generale e la loro integrazione con il pensiero intenzionale cosciente, con il quale il pensiero
spontaneo deve pure interagire in un equilibrio dinamico nell’ambito più vasto della cognizione
umana.
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WANDERING MIND AND HUMAN COGNITION by Giovanni Coglitore

  • 1. MENTE VAGANTE E COGNIZIONE UMANA Giovanni Coglitore Gli esseri umani, quando sono a riposo o svolgono attività monotone o poco impegnative dal punto di vista cognitivo, tendono ad essere attraversati da un flusso di pensieri spontanei e transitori, rivolti internamente. Questo particolare stato mentale, definito “mente vagante”, impegna circa il 50% delle ore di veglia della vita quotidiana e riflette la natura del pensiero spontaneo, indipendente dall’attività in corso e al di fuori della consapevolezza cosciente. Il contenuto dei pensieri interni è fondamentalmente caratterizzato da immagini mentali correlate al sé e rivolte agli accadimenti del passato recente e alle prospettive del futuro immediato, in relazione alle preoccupazioni del soggetto pensante. L’esplorazione neuroscientifica con le brain-imaging, ottenute con la tomografia ad emissione di positroni e la risonanza magnetica funzionale, ha dimostrato che la mente vagante impegna una particolare rete neurale definita "default-mode network". Questa rete caratteristicamente mostra una maggiore attività nello stato di riposo di un individuo, rispetto a quando lo stesso individuo svolge un compito cognitivo che richiede attenzione, suggerendo un suo coinvolgimento nel generare pensieri spontanei interni. Il carattere frequente e ubiquitario della mente vagante suggerisce che essa svolga importanti funzioni nel contesto della cognizione umana. Le funzioni ipotizzate includono: (i) il processo di anticipazione e pianificazione del futuro e di adattamento dei comportamenti finalizzati alla soluzione dei problemi rilevanti della vita quotidiana, (ii) il processo decisionale per la risoluzione dei problemi complessi, e (iii) la creatività. Parole chiave: mente vagante, pensieri spontanei, pensiero indipendente dal compito, creatività, default-mode network. WANDERING MIND AND HUMAN COGNITION by Giovanni Coglitore When resting or performing cognitive tasks that are either monotonous or short demanding, human beings tend to experience a spontaneous and momentary flow of self-directed thoughts. This particular state of mind, called "wandering mind", commits around 50% of the waking hours in the daily life and reflects the nature of the spontaneous thought, which is current task-independent, and conscious awareness-independent. The content of the inner thoughts is basically characterized by mental images that are self-related and addressed to both the events of the recent past and the prospects of the immediate future, in relation to the preoccupations of the thinking subject. The neuroscientific exploration with brain-imaging, using positron emission tomography and functional magnetic resonance imaging, showed that the wandering mind engages a particular set of brain regions called "default-mode network". This network typically shows increased activity in the resting state of an individual compared to when the same individual performs a cognitive task that requires attention, suggesting its involvement in generating spontaneous internal thoughts. The pervasive and common nature of mind wandering suggests that it serves some important functions in the context of human cognition. The functions hypothesized include: (i) the process of anticipating and planning for the future and adaptation of behaviors aimed at major problems
  • 2. solving of everyday life, (ii) the decision making process for the resolution of complex problems, and (iii) creativity. Keywords: wandering mind, spontaneous thought, task independent thought, creativity, default- mode network. Giovanni Coglitore PhD Staff Direzione Strategica – Reputation & Brand Azienda USL di Modena MENTE VAGANTE E COGNIZIONE UMANA 1. INTRODUZIONE Gli esseri umani trascorrono un periodo consistente della loro vita quotidiana pensando spontaneamente, soprattutto quando sono a riposo o svolgono attività cognitive monotone o poco impegnative. Classico è l’esempio di ciò che spesso accade alle persone durante la lettura di un libro o di una rivista: nel proseguo della lettura, esse finiscono col perderne la traccia rendendosi conto, il più delle volte a piè di pagina, che la loro mente andava spontaneamente per conto proprio (vagava), pensando ad altro. Simili esperienze costituiscono una parte notevole della nostra esperienza mentale e corrispondono a episodi transitori di pensiero spontaneo, al di fuori della consapevolezza cosciente, ovvero a pensieri che hanno direzione e obiettivi differenti e indipendenti dalle attività coscienti in corso. La cognizione spontanea, intesa come libera e autonoma attività della mente diretta internamente (Singer 1966), cioè non vincolata da condizioni e circostanze ambientali esterne, riflette la natura del pensiero non orientato verso un obiettivo esterno, in competizione dinamica con il pensiero intenzionale che si manifesta attraverso la rappresentazione consapevole di uno specifico obiettivo esterno. Pensiero spontaneo e pensiero intenzionale scandiscono le differenti modalità con cui il pensiero in generale si può esprimere e insieme costituiscono la modalità globale dell’estrinsecarsi del pensiero umano quale è andato a costituirsi nel lungo cammino del processo evolutivo. Mentre nel passato la letteratura ufficiale non aveva prestato molta attenzione al pensiero spontaneo - è possibile trovare solo sporadici riferimenti occasionali nella filosofia antica e moderna e nella psicologia teorica - solo a partire dagli anni Sessanta i ricercatori hanno riconosciuto la sua importanza nel contesto della fenomenologia del pensiero umano e il suo ruolo nell’ambito della cognizione (Christoff 2004; Dijksterhuis 2004; Giambra e Grodsky 1989; Klinger e Cox 1987; Singer e Schonbar 1961) e soprattutto nell’ultima decade, hanno iniziato ad esplorare le sue dinamiche attraverso il paradigma delle scienze sperimentali. Oggi, una vasta letteratura dimostra che è possibile lo studio dell’esperienza interna e degli stati mentali in generale, prima esclusivo dominio delle scienze umanistiche, attraverso l’approccio scientifico neuro-fenomenologico (Lutz e Thompson, 2003), nella considerazione che il concetto di mente, nella sua accezione biologica, sia il prodotto del processo evolutivo e quindi riconducibile ad un insieme di fenomeni neuro-biologici appartenenti alla natura umana e spiegabili con la metodologia dell’indagine empirica. I ricercatori delle discipline cognitive interessati alla tematica hanno utilizzato nel tempo una differente terminologia per definire questa esperienza interiore. I termini utilizzati comprendono una varietà di definizioni, tra cui “sogni ad occhi aperti” (Giambra 1979); “immagini e pensieri non correlati al compito” (Giambra e Grodsky 1989); “pensiero indipendente dallo stimolo” (McGuire et al. 1996; Mason et al. 2007a); “pensiero non correlato al compito (Smallwood et al. 2003); “pensiero spontaneo” (Christoff, Ream e Gabrieli (2004); “mente vagante” (Klinger e Cox 1987;
  • 3. Smallwood e Schooler 2006; Christoff et al. 2009; Schooler et al. 2011); “discorso interiore” (Morin 2009); “mentazione interna” (Andrews-Hanna 2011); “pensiero non orientato” (Christoff 2012). Allo stato attuale, dunque, manca una terminologia univoca, di certo perché i singoli termini non sono del tutto sovrapponibili, riferendosi a processi mentali interni in parte con caratteristiche comuni, in parte differenti; ma la molteplicità delle denominazioni attribuite dai ricercatori a questa tipologia di pensiero testimonia dell’interesse indiscutibile e crescente su questo argomento negli anni recenti. Mentre si rileva dunque l’esigenza che si provveda in un futuro prossimo ad una più accurata e dettagliata tassonomia degli stati mentali interni per distinguerne le differenze, in questo articolo, al fine di non ingenerare confusione, si fa riferimento alla mente vagante che rappresenta la forma più frequente di pensiero spontaneo. 2. LA MENTE VAGANTE: FENOMENO COGNITIVO FREQUENTE E PERVASIVO La mente vagante si riferisce all’esperienza mentale interna che insorge spontaneamente e transitoriamente nella vita quotidiana degli esseri umani durante i periodi di inattività o nel corso di attività cognitive monotone o poco impegnative dal punto di vista attentivo. Essa è dunque definita dalla mancanza di relazione con le attività esterne ambientali (Christoff et al. 2009; Killingsworth e Gilbert 2011; Klinger e Cox 1987; Smallwood e Schooler, 2006). La prima descrizione della mente vagante può farsi risalire a William James (1890), secondo cui il pensiero degli esseri umani “tende ad andare alla deriva”, espressione che vuole sottolineare la natura spontanea di questa modalità di pensiero. Contrariamente alla credenza popolare che interpreta la mente vagante come distrazione, sbadataggine, ruminazione, ripetitività, errore di attenzione, vuoto mentale, James soleva dire, quando gli si faceva notare di essere distratto, che in realtà la sua mente era rivolta ai suoi pensieri (Barzun 1983). Nel suo manuale Principles of Psychology, l’autore sostiene: Tutti sanno che cosa è l'attenzione. È la presa in possesso da parte della mente, in forma chiara e vivida, di uno di quelli che sembrano più oggetti contemporaneamente possibili o treni di pensiero (trains of thought). La focalizzazione e la concentrazione, della coscienza sono della sua essenza. Essa implica il ritiro da alcune cose in modo da affrontare efficacemente le altre, ed è una condizione che ha un fronte reale nello stato confuso, stordito, sbadato che in francese si chiama distrazione (distraction) e disattenzione (zerstreutheit) in tedesco (James 1890, 403-404). L’autore prosegue con la descrizione magistrale della mente vagante: Tutti noi conosciamo questa condizione anche nel suo grado estremo. La maggior parte delle persone probabilmente cade più volte al giorno in uno stato mentale simile: gli occhi sono fissi nel vuoto, i suoni nel mondo si fondono in una unità confusa, l’attenzione è dispersa in modo che tutto il corpo si sente, per così dire, in una sola volta, e il primo piano della coscienza è riempito, se non dal nulla, da una sorta di senso solenne di resa al passaggio vuoto del tempo (Ibidem). Più tardi lo stesso James (1892) definisce la tendenza della mente a vagare “flusso di coscienza” (stream of consciousness). I due termini, treni di pensiero e flusso di coscienza, sono concettualmente sovrapponibili ed entrambi sostanzialmente si riferiscono al succedersi in continuum (in forma di concatenazioni o di flussi) della sequenza di pensieri spontanei ed estranei alle attività correnti che insorgono autonomamente negli individui nella vita di ogni giorno. Una ripresa di interesse sul pensiero spontaneo e sul ruolo che esso possa avere nella cognizione umana si ha soltanto negli anni Sessanta (Singer e McCraven 1961), e con le osservazioni di Eric Klinger che al riguardo così si esprime: Gli esseri umani trascorrono quasi tutto il loro tempo in un qualche tipo di attività mentale; molto del loro tempo consiste non del pensiero ordinato, ma di momenti e frammenti di esperienza interiore: sogni a occhi aperti, fantasticherie, monologhi interiori vaganti, immagini vivide, e sogni. Questi miscugli saltuari (…) contribuiscono
  • 4. molto allo stile e al sapore dell’essere umano. (…) sicuramente una serie di attività così marcate non può essere senza funzione (Klinger 1971, 347). Negli ultimi dieci anni, lo studio del pensiero spontaneo ha rappresentato una sfida nell’ambito delle discipline cognitive, che sorprendentemente avevano ignorato per così lungo tempo un fenomeno così frequente nella vita degli esseri umani, anche in ordine alle funzioni da esso potenzialmente sostenute. È indubbio che il pensiero spontaneo forma una parte consistente della esperienza mentale degli esseri umani. I dati disponibili sono impressionati: Singer e McCraven (1961) sostengono che il 96% degli americani adulti segnala di sognare ad occhi aperti ogni giorno; Smallwood e Schooler (2006) riferiscono che gli individui, in condizioni sperimentali in laboratorio, impegnano tra il 15 e il 50% delle ore di veglia vagando con la mente; Kane et al. (2007) rilevano che mediamente il 30% del tempo è impegnato dagli individui nel pensiero spontaneo, disgiunto dalle loro abituali occupazioni; Klinger (2009) e Andrews-Hanna et al. (2010) trovano che il pensiero spontaneo occupa circa il 50% del tempo dello stato di veglia di un individuo. In un recente lavoro Killingsworth e Gilbert (2010), mediante un’applicazione Web per l’iPhone che mette in contatto il Centro raccolta dati con una popolazione di individui di 2250 adulti attraverso il loro iPhone e ai quali è stato chiesto cosa pensassero nel momento del contatto telefonico per verificare se le loro menti stessero vagando e su quali argomenti, hanno rilevato che il 46,9% del campione stava vagando con la mente indipendentemente da quello che stava facendo e dalla categoria professionale di appartenenza, con una prevalenza della mente vagante nella vita reale in genere sovrapponibile a quella osservata negli studi sperimentali più recenti. Il pensiero spontaneo riflette dunque quel che gli esseri umani abitualmente fanno in una parte considerevole della loro vita durante le ore di veglia, in cui sono impegnati per circa la metà del tempo in pensieri estranei alle attività correnti e si caratterizza come fenomeno cognitivo frequente e pervasivo che interessa ogni essere umano (Singer e McRaven 1962). I neurofisiologi segnalano che anche durante il sonno gli esseri umani hanno da 90 a 100 minuti di sogni REM, nel corso dei quali “vivono” esperienze emotive interne (Payne et al. 2008), che si verificano anche nel sonno a onde lente soprattutto nella prima metà della notte (Steriade 2006). A giudicare dalla frequenza e pervasività con cui il pensiero spontaneo si inserisce e si fa strada, in determinate condizioni, nella mente nel corso delle nostre abituali attività quotidiane, spostando l’attenzione su contenuti diversi rispetto a quelli in corso, il ricercatore delle discipline cognitive non può non chiedersi se la mente vagante corrisponda a processi mentali irrilevanti, ovvero svolga una qualche funzione nel contesto del pensiero globale, in questo caso valutandone l’importanza come fenomeno cognitivo che accompagna gran parte del corso della nostra vita, integrato nel più vasto ambito della cognizione umana. 3. IL CONTENUTO DELLA MENTE VAGANTE L’analisi del contenuto della mente vagante rileva, sia nella ricerca sperimentale che nel mondo reale, che essa è rivolta agli accadimenti del recente passato, alle sensazioni interiori del presente e in misura ancora più prevalente alla immaginazione di scenari che riguardano il futuro immediato del pensatore (Andrews-Hanna et al. 2010; Christoff 2012). In questo contesto gli esseri umani vagano con la mente in direzione di questioni personali importanti per loro stessi. Già Klinger (1971) aveva proposto “l’ipotesi della preoccupazione attuale”, significando che in assenza di circostanze cognitive impegnative esterne, la mente sposta il proprio interesse da un particolare obiettivo deliberatamente scelto ad altro obiettivo connesso alle nostre preoccupazioni in corso. La tendenza degli individui a vagare con la mente sembrerebbe corrispondere a una qualità peculiare del cervello umano, quella cioè di prestare attenzione caratteristicamente a ciò che ritiene più importante e rilevante per il soggetto pensante, selezionando gli obiettivi da un “treno di pensiero” diretto internamente, in funzione della loro importanza per l’individuo. Questa tendenza della mente ad abbandonare un obiettivo a favore di un altro si realizza spontaneamente, come ad
  • 5. esempio durante la lettura di un testo o durante la guida, e non richiede l’intenzione consapevole degli individui, sicché il grado di consapevolezza esplicita del contenuto della mente vagante è molto basso, per cui essi non hanno modo di accorgersi che la loro mente vaga o ne sono solo parzialmente coscienti (Smallwood e Schooler 2006). Questo spostamento di attenzione, indotto dal basso interesse per l’argomento corrente e di contro sollecitato, senza il concorso della volontà, da un evento di maggiore interesse personalmente rilevante, è il meccanismo fisiologico chiave per il manifestarsi della mente vagante. Le fluttuazioni cicliche cui va incontro la mente nel rapportarsi a input sensoriali esterni e interni si realizzano attraverso il processo che in neuroscienze cognitive è definito “accoppiamento- disaccoppiamento attenzionale” (Smallwood e Schooler 2006) o “percettivo” (Schooler et al. 2011), con cui l’attenzione, alternativamente, si associa alla percezione e si disimpegna da essa, cioè dalla elaborazione delle informazioni sensoriali provenienti dall’ambiente esterno e si concentra invece sui pensieri spontanei interni. Lo spostamento delle risorse attenzionali dal contesto esterno nel corso della mente vagante si accompagna a smorzamento nella elaborazione degli stimoli ambientali e ad abbassamento della concentrazione attentiva cosciente e della vigilanza (Oken et al. 2006) e più in generale delle capacità cognitive. La mente vagante, attraverso il processo di disaccoppiamento dell’attenzione cosciente, attenua fortemente e spesso interrompe la percezione del contesto esterno, ovvero il rapporto tra la mente e l’attività in corso (ad esempio la lettura di un testo o la guida), consentendo quindi alla coscienza di dedicarsi e concentrarsi sui contenuti del pensiero spontaneo interiorizzato. Se la mente vagante provoca il disaccoppiamento percettivo, la limitata elaborazione delle informazioni esterne che ne segue non può non riflettersi sul monitoraggio dell’ambiente esterno e sulla performance delle attività correnti. Si spiega così, nel periodo in cui la mente vaga, la mancata comprensione di un testo durante la lettura (c.d. lettura cieca) o le frequenti “dimenticanze per distrazione” nel corso della vita quotidiana o il possibile errore, così gravido di rischi, connesso alla diminuita concentrazione attenzionale durante la guida. 4. I CORRELATI NEURALI DELLA MENTE VAGANTE Lo studio delle reti neurali che supportano la mente vagante ha avuto un decisivo impulso con le brain-imaging ottenute con la tomografia ad emissione di positroni (PET) e con la risonanza magnetica funzionale (fMRI). Con tali tecniche, associate a metodologie tipiche delle scienze sperimentali, è stato dimostrato che la mente vagante impegna una particolare rete neurale, definita "default-mode network" (DMN) (Andrews-Hanna et al. 2010; Christoff, Gordon e Smith 2008; Mason et al. 2007). Questa rete caratteristicamente mostra una maggiore attività, con alto grado di connettività funzionale tra le aree che la compongono, nello stato di riposo di un individuo, rispetto a quando lo stesso individuo svolge un compito cognitivo che richiede attenzione (Raichle et al. 2001), suggerendo un suo ruolo nel supportare i pensieri spontanei interni. Sul piano anatomico la DMN è definita da un sistema cerebrale di grandi dimensioni che comprende la corteccia prefrontale mediale (mPFC) ventrale e dorsale, la corteccia cingolata anteriore (ACC), la corteccia cingolata posteriore (PCC) con la corteccia retrospleniale e il precuneo, i lobi temporale mediali e laterali (MTL) e i lobuli parietali posteriori inferiori (pIPL) (Andrews-Hanna et al. 2010; Buckner et al. 2008; Raichle e Snyder 2007). Sul piano funzionale, i risultati degli studi PET e fMRI suggeriscono che la rete default svolga un ruolo importante nei processi mentali generati internamente, come la mente vagante, e più in generale nei processi della cognizione spontanea e della cognizione sociale (Starwarczyk et al. 2011). La questione di come differenti regioni del cervello, funzionalmente connesse, operino attraverso il sistema delle interazioni coordinate al proprio interno e con altri circuiti cerebrali nel supportare le funzioni cognitive, è diventata argomento di massimo interesse nel campo delle Scienze e Neuroscienze Cognitive. Sebbene non ci sia in atto un consenso unanime sulle esatte funzioni neurocognitive supportate dalla rete default, tuttavia gli elementi forniti dalla letteratura più recente sostengono che l’attività della DMN è associata ai processi mentali interni del pensiero spontaneo e in generale a una vasta gamma di funzioni cognitive, in linea con le recenti scoperte
  • 6. che suggeriscono che le diverse aree che compongono la rete mostrano un certo livello di relativa specializzazione funzionale o di affinità per specifiche esigenze cognitive (Buckner et al. 2008; Christoff 2012; Christoff et al. 2004; Vincent et al. 2006). Gli studi più recenti evidenziano che il reclutamento della mPFC ventrale riflette l’elaborazione autoreferenziale (Andrews-Hanna et al. 2010; Kelley et al. 2002). La mPFC dorsale è associata all’attribuzione dei pensieri e delle intenzioni degli altri individui (Teoria della Mente) (Spiers e Maguire 2006). La PCC, il precuneo e la corteccia retrospleniale sono reclutati nel pensiero diretto internamente, nella elaborazione degli stati emotivi, nel monitoraggio dell’ambiente esterno e nella memoria episodica (Andrews-Hanna et al. 2010; Buckner et al. 2008). L’area del MTL contribuisce al recupero e al consolidamento dei ricordi autobiografici (Christoff et al. 2004) e alla simulazione di eventi futuri (Buckner 2010). L’esplorazione neuroscientifica dei correlati neurali che supportano la mente vagante è oggi soltanto agli inizi. Lo studio delle dinamiche cerebrali coinvolte nella mente vagante suggerisce il reclutamento di parecchie aree all’interno della rete default e il coinvolgimento di altre aree cerebrali (rete del sistema esecutivo, rete dorsale dell’attenzione, e altre), con le quali la DMN è funzionalmente connessa e la cui descrizione va oltre gli obiettivi di questo articolo. Nell’insieme i risultati della recente ricerca dimostrano che la DMN costituisce la base neurale dei processi mentali interni, in particolare degli eventi personali del passato e degli obiettivi futuri, i cui contenuti caratterizzano il vissuto della mente vagante (Mason et al. 2007) e più in generale della cognizione spontanea (Andrews-Hanna et al. 2010; Christoff et al. 2012). Queste conclusioni concordano del resto con le osservazioni che i danni della rete default sono associati a “vuoti mentali” (Damasio e Van Hoensen 1983) e che l’invecchiamento produce alterazioni a carico della rete con corrispondente impoverimento di pensiero spontaneo (Giambra 1989). 5. LE FUNZIONI DELLA MENTE VAGANTE La frequenza con cui la mente vagante si manifesta e la sua caratteristica pervasività obbligano a porci domande fondamentali: qual è il suo significato funzionale, atteso che la mente impegna gran parte delle sue risorse attentive disponibili al di fuori delle abituali occupazioni di un individuo, spostandole verso i pensieri spontanei interni e quale il ruolo del pensiero spontaneo nella economia della cognizione umana? In altri termini, perché la mente è organizzata a vagare? È improbabile che tali risorse mentali a servizio del pensiero spontaneo non abbiano alcuna funzione cognitiva (Klinger 1971; Baars 2010). La considerazione che i contenuti della mente vagante riguardino prevalentemente le esperienze personali del recente passato e gli obiettivi del futuro immediato di un individuo suggerisce che essa è una funzione cognitiva correlata al sé, un flusso frequente di esperienza soggettiva e di elaborazione auto-referenziale (Northoff et al. 2006). La mente vagante da un lato favorisce la verifica e il consolidamento degli eventi significativi personali del passato (Andrews-Hanna et al. 2010), le cui rappresentazioni episodiche isolate nella memoria vengono integrate “in una coerente e significativa struttura autobiografica che ci dà un senso del sé” (Christoff, Gordon e Smith 2008, p. 25) e riorganizzate e raggruppate con il risultato di potenziare le capacità associative cerebrali, e dall’altro permette di proiettarci nel futuro immediato, prefigurando i possibili scenari in relazione alle nostre attuali preoccupazioni e simulandoli prima che accadano (Andrews-Hanna et al. 2010). In tal modo la mente vagante conferisce un senso di coerenza alle personali esperienze passate, presenti e future (Cabeza e St Jacques 2007; Vincent et al. 2006), integrandole e servendosene per i processi di pianificazione futura e dunque svolge un ruolo importante di adattamento dei comportamenti finalizzati alla soluzione dei problemi rilevanti della vita quotidiana (Baars 2010; Schooler et al. 2011) e per affrontare le vicissitudini del complesso mondo sociale (Frith 2007). L’ipotesi che la mente vagante svolga un ruolo adattativo importante ai fini della pianificazione futura è in linea con la conclusione cui sono pervenuti alcuni ricercatori (Dijksterhuis 2004; Dijksterhuis, Nordgren e van Baaren 2006), secondo i quali il pensiero spontaneo è importante per il processo decisionale. I risultati di studi sperimentali suggeriscono infatti che per le decisioni
  • 7. semplici è sufficiente il pensiero intenzionale cosciente. Allorquando si tratta di scegliere tra più soluzioni riguardanti una decisione complessa, la scelta più appropriata scaturisce dopo che i soggetti interessati sono stati impegnati in un’attività mentale spontanea (un vagare inconscio della mente) che comportava una temporanea “distrazione” della mente rispetto alla decisione da prendere. In tal modo il cervello, durante il periodo dell’attività mentale spontanea inconscia, può recuperare e utilizzare un’elevata capacità associativa di integrare maggiori informazioni utili per una decisione complessa migliorandone la qualità, mentre il pensiero intenzionale cosciente può attingere da un potenziale di informazioni relativamente basso e quindi risultare meno efficiente e vantaggioso nel processo decisionale per i problemi complessi. Dijksterhuis in un’intervista del 2006 alla Reuters Health così argomenta: “Quando si deve prendere una decisione, il primo passo dovrebbe essere quello di ottenere tutte le informazioni necessarie per la decisione. Una volta avute le informazioni, si deve decidere, e questo è fatto meglio con il pensiero cosciente per le decisioni semplici, ma lasciate al pensiero inconscio – al 'dormire su di esso' - quando la decisione è complessa”. Le conclusioni di Dijksterhuis non si discostano da quelle cui era giunto Sigmund Freud circa cento anni prima. Secondo il padre della psicoanalisi, nel prendere una decisione d’importanza minore, bisogna considerare tutti i pro e i contro. In questioni vitali, tuttavia, come la scelta di un compagno o di una professione, la decisione dovrebbe venire dall'inconscio, da qualche parte dentro di noi. Nelle decisioni importanti della vita personale, dovremmo essere governati, a seguire Freud, dalle esigenze interiori profonde della nostra natura. Alcuni ricercatori ipotizzano che la mente vagante possa essere considerata anche una fonte di creatività, uno stato mentale che può condurre a intuizioni creative (Christoff et al, 2009; Dijksterhuis, Nordgren e van Baaren 2006; Schooler et al, 2011). La letteratura è ricca di aneddoti riferiti a scienziati e artisti che sostengono che le loro idee creative si sono manifestate dopo un periodo di “distrazione” spontanea, un periodo di incubazione che ha contribuito, attraverso il vagare della mente, a intuizioni e soluzioni creative (Klinger 2009; Poincaré 1952). L’argomento è in atto oggetto di ricerca nell’ambito della psicologia sperimentale, delle scienze e neuroscienze cognitive, anche sulla base di recenti studi i cui risultati dimostrano che, dopo un periodo di “distrazione” in cui la mente vaga, ovvero di spostamento dell’attenzione dall’attività in corso, le idee maturate raggiungono un più alto grado di creatività nella soluzione dei problemi rispetto a quelle generate dal solo pensiero intenzionale cosciente (Baird et al, 2012; Dijksterhuis, Nordgren e van Baaren 2006). Una questione tuttora molto dibattuta riguarda il legame che intercorre tra mente vagante e stati d’animo. È stato rilevato che la mente vagante è comune negli stati di cattivo umore (Smallwood et al. 2009), nella depressione (Smallwood et al. 2007) e nelle condizioni di abuso del consumo di alcol (Finnigan, Schulze e Smallwood 2007). Gli stati d’animo negativi indurrebbero la mente a vagare, spostando le risorse attenzionali dall’attività corrente verso i problemi personalmente rilevanti. Al contrario, lo stato d’animo positivo è associato ad una migliore capacità di concentrare le risorse attentive sull’attività corrente, senza “distrazioni” o errori che la mente vagante può comportare. Altri ricercatori sostengono invece che la mente vagante è associata a bassi livelli di felicità ed è in genere la causa e non la conseguenza degli stati d’animo negativi e concludono che “una mente umana è una mente vagante e una mente vagante è una mente infelice” (Killingsworth e Gilbert 2010, p. 932). Il vantaggio legato alla mente vagante in termini di adattamento dei comportamenti finalizzati alla soluzione dei problemi rilevanti della vita quotidiana e dunque di pianificazione futura e di creatività “è un successo cognitivo (del processo evolutivo) che arriva a un costo emotivo” (Killingsworth e Gilbert 2010, p. 932). La questione è tuttavia controversa, poiché è stato anche rilevato che lo stato d’animo positivo o negativo di un individuo è correlato alla qualità del contenuto dei pensieri spontanei: i pensieri spontanei con contenuto emotivo negativo comporterebbero depressione, quelli con contenuto emotivo positivo indurrebbero o potenzierebbero uno stato d’animo positivo (Cohn et al. 2009).
  • 8. 6. CONCLUSIONI Le conoscenze attuali fornite da una grande mole di studi teorici e sperimentali indicano che la mente vagante, che emerge caratteristicamente quando gli individui sono a riposo o svolgono attività monotone o poco impegnative, è una forma di pensiero spontaneo internamente diretto, in competizione dinamica con il pensiero intenzionale cosciente che si manifesta attraverso la rappresentazione consapevole di un determinato obiettivo esterno. Al contrario di Freud che considerava il vagare della mente un’attività irrilevante e un esempio di pensiero infantile e della comune credenza popolare secondo la quale la mente vagante è distraente e potenzialmente nociva, oltreché inutile e improduttiva secondo la logica della cultura attuale ossessionata dall’efficienza, è ragionevole ritenere che essa rappresenti un aspetto della cognizione umana ricco di significative funzioni. L'analisi qualitativa della natura dei pensieri che emergono spontaneamente mentre la mente vaga suggerisce che essa possa avere una funzione importante nel processo di anticipazione e pianificazione del futuro e di adattamento dei comportamenti finalizzati alla soluzione dei problemi rilevanti della vita quotidiana. Viene inoltre ipotizzato che la mente vagante svolga un ruolo significativo nel processo decisionale per la risoluzione dei problemi complessi e alcune prove sostengono che possa essere considerata una fonte di creatività. Rimane controversa, infine, la questione riguardo al legame tra mente vagante e stati d’animo, con alcune evidenze che suggeriscono che essa sia la causa di stati d’animo negativi, mentre altre ritengono che ne sia la conseguenza. Nonostante i notevoli progressi delle discipline cognitive, molto resta ancora da definire in ordine ai paradigmi e alle metodologie per studiare la mente vagante e il pensiero spontaneo in generale e la loro integrazione con il pensiero intenzionale cosciente, con il quale il pensiero spontaneo deve pure interagire in un equilibrio dinamico nell’ambito più vasto della cognizione umana. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Andrews-Hanna J.R. (2012), The Brain’s Default Network and Its Adaptive Role in Internal Mentation, in <<Neuroscientist>>, 18, 3, pp. 251-270. Andrews-Hanna J.R, Reidler J.S, Huang C. e Buckner RL. (2010), Evidence for the Default Network’s Role in Spontaneous Cognition, in <<Journal of Neurophysiology>>, 104, pp. 322-335. Andrews-Hanna J.R, Reidler J.S, Sepulcre J, Poulin R. e Buckner R.L. (2010), Functional- anatomic fractionation of the brain’s default network, in <<Neuron>>, 65, pp. 550-562. Baars B.J. (2010), Spontaneous repetitive thoughts can be adaptive: Postscript on McKay and Vane (2010), in << Psychological Bulletin>>, 136, 2, pp. 208-210. Baird B., Smallwood J., Mrazek M.D., Kam J.W.Y., Franklin M.S. e Schooler J.W. (2012), Inspired by Distraction: Mind Wandering Facilitates Creative Incubation, in <<Psychological Science>>, 23, 10, pp. 1117-1122. Barzun J. (1983), A stroll with William James, New York, Harper & Row. Buckner R.L., Andrews-Hanna J.R. e Schacter D.L. (2008), The brain’s default network: anatomy, function, and relevance to disease, in <<Annals of the New York Academy of Sciences>>, 1124, pp. 1-38.
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