Università e comunicazione: oltre l'assolutismo della concretezza
Photo ©Lorenzo Cavina

Università e comunicazione: oltre l'assolutismo della concretezza

Riflessioni a margine dell'Incontro nazionale dei Corsi di Scienze della Comunicazione

A metà dicembre 2018 si è svolto a Palermo il IX incontro nazionale dei Corsi di Studio in Scienze della Comunicazione. Il tema prescelto: il rischio di assolutismo della comunicazione. Al cuore della giornata il consueto Forum dei Corsi e dei Laboratori che ho avuto il privilegio di coordinare: esperienze diverse distribuite lungo tutto il territorio nazionale che si sono raccontate nel corso di una ricca tavola rotonda. Da nord a sud riflessioni e sperimentazioni innovative orientano un’offerta formativa che se da un lato cerca di rispondere alle esigenze del mercato del lavoro, dall’altro non si subordina mai completamente alle istanze assolutistiche del tecnicismo imperante.

È uno dei compiti più ardui che l’Università si assume oggi, stretta spesso da interpretazioni riduttive delle tre missioni di fondo che le riforme recenti le hanno assegnato: ricerca, didattica, rapporto con il mondo extra-accademico. Il rischio che ogni giorno corriamo - specie in un’area orientata alla professionalità come quella della comunicazione - è di abbandonare i nostri studenti all'opinione diffusa secondo cui il “saper fare” (tecnico-pratico) debba essere al centro della formazione e che la “creatività” sia sì capace di essere innovativa ma solo se pronta a mettersi al servizio di esigenze produttive immediate

L'ossessione della velocità - specie ai tempi del web 2.0 - assilla docenti e studenti vittime di uno stesso gioco in cui a perdere è sempre il tempo per pensare. Accettando l'assolutismo della concretezza "pratica" si dimentica che occorre tempo per riflettere, comprendere le implicazioni e le origini del fare, acquisire consapevolezza, orientarsi a quel che un tempo si considerava empowerment riflessivo. Ne sono spesso contagiati gli stessi studenti, che tendono a iscriversi ai nostri Corsi aspettandosi soluzioni e ricette per comunicare in modo efficace, fare informazione in modo efficace, usare gli algoritmi del web in modo efficace e - nel frattempo - superare gli esami in modo efficace. A ciò si accompagna l’assolutismo del “fare in fretta e subito”, vale a dire – di nuovo - un paradigma ossessivo di velocità, riassunto dai cruscotti Anvur nella rappresentazione ideale dello “studente regolare” sulla cui carriera si basano anche le allocazioni di risorse (uno studente in corso che entro il 31 dicembre abbia acquisito un determinato numero di crediti). Nello stesso tempo, le risorse (umane e finanziarie) tendono ad essere sempre più scarse, considerando spreco tutto ciò a cui non si riesca ad apporre un qualche sigillo "oggettivo" di dato numerico secondo un ferreo principio di razionalità meramente strumentale.

Efficacia ed efficienza sono al seguito di una metafora di aziendalizzazione importata con veste obsoleta perché invece di orientarsi verso una legittima e preziosa rendicontabilità che spinga ad utili riflessioni, diventano per lo più oggetti di misura, parametri gerarchici e classificatori, a mo’ del vecchio bastone e carota di tayloristica memoria. I questionari rivolti agli studenti a fine corso, ad esempio, sarebbero elementi preziosi di ascolto costruttivo se non diventassero spesso meri strumenti di misura percentuale della consumer satisfaction rispetto ai quali si fa fatica a capire se e quanto occorra subordinarsi ai "wants" di un "consumatore" che acquista una merce nel libero mercato delle offerte accademiche, o se invece occorra anche interpretare, rilanciare poste in gioco di sapere critico senza cadere in balia dell’egemonica istanza del "saper fare".

In cosa consiste offrire competenze formative? Nel tentativo costante di fornire ai giovani strumenti per pensare ed acquisire capacità di porsi domande e formulare risposte di fronte a problemi e conoscenze di sempre maggiore complessità, oppure nel dar loro “prodotti” già preconfezionati, ricette pronte per l’uso, attrezzi di semplificazione ad ogni costo, piatti pronti per esser consumati ad un appello d’esame? L'unica cosa che conta sarebbe predisporli ad ambire al successo e quindi “vendere” competenze per acquisire uno status di consumatori o manipolatori al servizio dei vari principi di turno? Per di più rimanendo noi stessi stretti nella morsa di doverne “attirare” il maggior numero possibile nel mercato concorrenziale in cui sono stati collocati i vari atenei e dipartimenti? Poco importa se poi questi giovani in cerca di formazione-lavoro dovranno spesso accontentarsi di tirocini curricolari durante gli studi, quelli che in Italia evitano le normative sul lavoro perché rimangono attività formative che l’Università delega ad altri e che essa "retribuisce" - al posto delle aziende - con una nuova moneta, i crediti formativi? Così - si dice - gli studenti di un’università da trasformare perché vecchia e polverosa avrebbero finalmente un rapporto con quel mondo del lavoro a cui devono aspirare di conformarsi. E a cui dunque la stessa Università deve conformarsi. Secondo i cruscotti Anvur, oltre che dell’attrattività, parrebbe infatti che in quanto docenti siamo responsabili anche del placement, considerando il mercato nella versione idealizzata di un arbitro assoluto delle competenze che dobbiamo fornire (e come se il "mercato" non fosse a sua volta abitato da attori mutevoli rispetto ai quali il tempo della formazione rischia di arrivare in ritardo... specie se dismette le sue capacità di ricerca ed analisi...)

Un tempo pensavo che incontrare il mondo del lavoro potesse cercare di stimolare innovazione promuovendo dialogo, scambio di risorse e maggiore conoscenza reciproca; non solo importare passivamente richieste di manodopera pronta per l’uso o per il trend mainstream del momento: oggi è il SEO, domani chissà; aspettiamo le decisioni di Google per saperlo? A che servono le teorie sul comportamento sociale o sulle caratteristiche degli attori presenti nella scena complessa dei rapporti sociali contemporanei, se poi a contare sono gli algoritmi i cui modelli teorici sono inventati chissà dove, e su cui l'oscurità deve restare sovrana?

Oggi, in effetti, da qualche parte sembra esserci un interessante rovesciamento di prospettiva: siamo noi docenti - obsoleti - a doverci rinvigorire adeguandoci passivamente alle esigenze del mercato, e non il mercato a ritenere che il sapere comporti innovazione… e magari anche minoritarie istanze critiche utili per comprendere meglio le stesse logiche algoritmiche che pur di teoria hanno bisogno...

Fare della comunicazione l’assoluta ricerca di consenso, da una parte, o di conflitto altrettanto assoluto, dall’altra, non è mai stato principio ispiratore degli studi scientifici, anche se a questo ci hanno talora piegato le istanze del “saper fare” applicativo di sedicenti tecniche di comunicazione o informazione. Un “saper fare” assolutistico che ben si adatta ad un sociale appiattito sullo spettacolo assoluto della comunicazione; uno spettacolo che più di 50 anni fa Guy Débord così definiva:

Lo spettacolo si presenta come un’enorme positività indiscutibile e inaccessibile […]. L’atteggiamento che esige per principio è l’accettazione passiva che ha già di fatto ottenuto per il suo modo di apparire senza replica , per il suo monopolio dell’apparenza […]. In quanto indispensabile esposizione degli oggetti prodotti ora e della razionalità del sistema […], lo spettacolo è la principale produzione della società attuale . Sottomette a sé gli uomini nella misura in cui l’economia li ha totalmente sottomessi […]. È il riflesso fedele della produzione delle cose, e l’oggettivazione infedele dei produttori” ( Débord 1967, 12, 15; trad. e corsivo miei).

Oggi lo spettacolo si munisce anche di strumenti interattivi grazie alle opportunità del web, nuova scena su cui si gioca la partita a scacchi fra attori in parte diseguali e in lotta fra loro per ottenere voce, attenzione o manipolazione, in parte idealizzati come soggetti neutrali di scambi infiniti.

Scene conflittuali e consensuali insieme: l’ambivalenza si insinua anche nelle reti del digitale. Fermarsi a considerarlo mero spettacolo di miriadi di bolle comunicative da apprendere a gestire-controllare, oppure renderne possibile l’analisi delle complesse dinamiche attivate da diversi attori in gioco è in effetti una sfida aperta per i Corsi e i Laboratori di comunicazione, specie quando - come si è visto negli interventi proposti nel Forum palermitano - ricerca e didattica si confrontano in modo critico con le tante sfaccettature dei rispettivi saperi disciplinari e rendono sempre più protagonisti attivi i nostri giovani studenti.

Lo scenario formativo mostra dunque effervescenze e ambivalenze che sembrano in parte sfuggire ad un’istanza assoluta di controllo strumentale. Ricerca, didattica e rapporti con il mondo del lavoro possono trovare coniugazioni innovative nelle esperienze dove germoglia e cresce il seme del confronto anche conflittuale fra prospettive differenti, portate a cercare un campo comune di riflessione dinamica su un complesso terreno di fenomeni che si combinano e si connettono, rimanendo aperte all'ascolto e al tempo lento del sapere critico.

Il kairós in primo piano rispetto al chronos: l'occasione innovativa che si può cogliere lungo il cammino della ricerca di base arricchita proprio dai suoi possibili fallimenti, tanto diversa dall'efficacia predeterminata di un tempo lineare sottoposto a procedure standard che lo idealizzano come evolutivo e cumulativo.

Nonostante tutto e nonostante il neoliberismo imperante, giocare al rialzo dell'immaginazione sociale, invece di accettare il gioco al ribasso dei meriti predefiniti dalle agenzie di valutazione di turno, è forse un modo per riannodare quel legame fiduciario fra studenti, datori di lavoro e docenti, indispensabile per alimentare dibattito, innovazione, conoscenza, e dunque anche per rivendicare il diritto di essere tutti riconosciuti in primo luogo come cittadini, non meri consumatori.















Ilaria Maria Di Battista

Ufficio stampa e comunicazione Azienda Usl di Bologna presso Azienda USL di Bologna

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Grazie come sempre dei suoi preziosissimi spunti di riflessione Professoressa! Che si tratti poi di uno "spettacolo del mercato" o di uno  "spettacolo del dolore" (che poi dipende sempre dal mercato...) poco cambia.

Francesco Relandini

il Coach dei Giovani | Progetto e realizzo laboratori di orientamento per giovani | Docente in corsi Forma.Temp

5y

Condivido pienamente queste riflessioni! In 10 anni di esperienza nel “mondo del lavoro” ho toccato con mano la richiesta di efficacia, di capacità tecniche, di risultati da ottenere con rapidità. E con le nuove tecnologie i tempi di lavoro sono diventati ancora più frenetici. Ecco, io vedo l’università come un baluardo, un freno a queste derive (non) inevitabili. A diventare frenetici, ad apprendere una specifica tecnica, si farà sempre in tempo in azienda. Per riflettere sul sapere beneficiamo delle nostre preziose aule universitarie, sempre.

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